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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

30 giugno 2010

Mediocrità dell'istruzione - 1998

[...] L'istruzione è cruciale perché vi sia progresso: si tratta dello strumento più efficace per spostare le barriere intellettuali e disegnare nuove possibilità. L'istruzione è essenziale per l'apprendimento dei saperi elementari e per la nostra prosperità individuale, è la base per il benessere nazionale, e ciononostante almeno nel mio paese, gli Stati Uniti, essa è in un processo di drammatico declino. L'istruzione primaria e secondaria, i primi dodici anni di studio negli Stati Uniti, è prossima al collasso. I nostri ragazzi sono meno istruiti, meno informati, meno competenti rispetto a venti, trent'anni fa. Il sistema scolastico è diventato sede di finalità che non hanno nulla a che spartire con l'istruzione. Non esistono né standard né dati comparativi, e cosa ancor più importante, questa condizione cognitiva catastrofica trova una diffusa compiacenza perché non è recentissima ma alla seconda generazione. Il collasso è iniziato fra la fine degli anni 60 e i primi anni 70, e oggi abbiamo pertanto una generazione di genitori che sono stati 'truffati' da quel sistema educativo, e che non possono percepire la mediocrità dell'istruzione che ricevono i loro figli. Ciò è evidente nel declino delle high school, e della qualità degli studenti che si iscrivono all'università. Una percentuale sorprendentemente alta di studenti universitari americani deve fare corsi integrativi, che ripetono loro quello che avrebbero dovuto apprendere alle superiori. L'istruzione universitaria si sta contraendo in termini di durata, di contenuti, e di efficacia. L'unico settore di grande qualità negli Stati Uniti è l'istruzione post-laurea, per la quale siamo ancora invidiati da tutto il mondo; ma non dobbiamo dimenticare che coloro che conseguono master e dottorati di ricerca sono solo l'apice, composto del resto per una buona metà da studenti stranieri, di una enorme piramide nella quale la gran parte degli studenti è penalizzata. [...].
Joseph Coates

*"Repubblica", 30 novemnre 1998

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27 giugno 2010

Ripartire dal lessico

"Mettere (non mettere) le mani nelle tasche degli italiani: espressione usuale del presidente del Consiglio e dei suoi collaboratori, presumibilmente inventata da consulenti della comunicazione e impiegata per imitazione anche da esponenti dell’opposizione. Sottintende l’idea che imposte e tasse siano scippi e furti e che i governanti, chiedendo di partecipare alle spese pubbliche si comportino da delinquenti; imposte e tasse da cui è dunque lecito difendersi (non farsi mettere le mani in tasca). Tutto si tiene: il linguaggio come specchio dell’anima. Questa espressione è la negazione dell’idea di cittadinanza, che comprende diritti e doveri di solidarietà, secondo la legge. Essa infatti parla demagogicamente agli italiani e non democraticamente ai cittadini (italiani)."
Gustavo Zagrebelsky

*estratto dalla rubrica "Lessico del populismo e della volgarità" (14 giugno 2010) nel sito di Libertà e Giustizia

Ha ragione Zagrebelsky. La manipolazione del lessico è stata lo strumento più pervasivo di questa elite dirigente. Per ricominciare a ricostruire democrazia, in ogni ambito, dovremmo ripartire proprio dal lessico e restituire ad ogni parola il giusto significato per rimediare all'uso devastante che è stato fatto dal 1994 ad oggi.
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24 giugno 2010

Insegnare… Che ingenuità!

"[...] Il poliziotto Roland «Prez» Pryzbylewski, dimesso dalla polizia per una serie di incidenti, si dedica a fare l’insegnante in una scuola a dir poco difficile, dove è un miracolo se gli studenti non si ammazzano tra di loro. Tuttavia, il professor «Prez» è talmente appassionato del suo nuovo mestiere che riesce pian piano a conquistarsi la fiducia e il rispetto della sua riottosa scolaresca. Si avvicina però la fine dell’anno e, con questa, le «valutazioni». La direzione lo convoca e gli intima di andare al sodo: verrà valutata la scuola e sarai valutato tu e, se il risultato non è buono, perderai il posto; perciò ti conviene abbassare le pretese e addestrare gli studenti in funzione dei test che dovranno superare nelle prove di valutazione. È il famoso «teaching to the test», l’insegnamento in funzione del test, in cui quel che conta non è che si conosca la materia, quanto di essere in grado di rispondere correttamente ai questionari contrassegnando le caselle giuste. «Prez» si ribella: «Sono venuto a scuola per insegnare», esplode. Ma c’è poco da fare, gli interessi della scuola vengono prima di tutto. Insegnare… Che ingenuità! Mi viene in mente quel membro di una commissione ministeriale che, durante una seduta, si levò in piedi per proclamare con voce stentorea: «La parola “insegnante” va cancellata dal vocabolario per sostituirla con quella di “facilitatore”»…[...].
 Giorgio Israel

*G.Israel, Il sapere è tutto un test. Per questo va in rovina, "Il Giornale", 24 giugno 2010 [leggi tutto].

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20 giugno 2010

Diagnosi

"Per liquidare i popoli - diceva Milan Hübl  - si comincia col privarli della memoria. Si distruggono i loro libri, la loro cultura, la loro storia. E qualcun altro scrive loro altri libri, li fornisce di un'altra cultura, inventa per loro un'altra storia. Dopo di che il popolo comincia lentamente a dimenticare quello che è e quello che è stato. E, intorno, il mondo lo dimentica ancora più in fretta."
Milan Kundera


M. Kundera, Il libro del riso e dell'oblio, Adelphi, 2001
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19 giugno 2010

José Saramago

"[...] Di qualcosa dovremo sempre morire, ma si è ormai perso il conto degli esseri umani morti nei peggiori modi che degli esseri umani potessero inventare. Uno di questi, il più criminoso, il più assurdo, quello che più offende la semplice ragione, è quello che, dal principio dei tempi e delle civiltà, ha il mandato di uccidere in nome di Dio. È stato già detto che le religioni, tutte, senza eccezione, non serviranno mai per avvicinare e riconciliare gli uomini, e che, al contrario, sono state e continuano a essere causa di sofferenze inenarrabili, di stragi, di mostruose violenze fisiche e spirituali che costituiscono uno dei più tenebrosi capitoli della misera storia umana. Almeno come segno di rispetto per la vita, dovremmo avere il coraggio di proclamare in tutte le circostanze questa verità evidente e dimostrabile, ma la maggioranza dei credenti di qualsiasi religione non solo finge di ignorarla, ma si leva iraconda e intollerante contro coloro per i quali Dio non è altro che un nome, nient' altro che un nome, il nome che, per paura di morire, un giorno gli abbiamo messo e che sarebbe venuto a sbarrarci il passo per un'umanizzazione reale. In cambio, ci hanno promesso paradisi e ci hanno minacciato con inferni, tanto falsi gli uni come gli altri, insulti sfacciati a un'intelligenza e a un senso comune che ci è costato tanto far crescere. [...]".
José Saramago
1922-2010
J. Saramago, Uccidere in nome di Dio, "Repubblica", 20 settembre 2001[leggi tutto]
*link al blog QuadernodiSaramago

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18 giugno 2010

Guardare la libertà

“[...] Guardare è la vera resistenza. Ma come? Per Berlusconi guardare equivale ad acquistare. Tutto ciò che si vede nelle sue tivù si può anche comprare. Io penso che guardare sia il contrario: lasciar fuggire l’oggetto dello sguardo per coglierne il senso autentico. La farfalla: se voglio godere del profilo delle sue ali e della perfezione dei suoi colori devo catturarla, spillarla, ucciderla. Guardandola fuggire perderò tutto questo, ma vedrò il suo battito, la sua libertà. Cercare le lucciole nel buio, oggi, è rinunciare a possedere. Catturo una lucciola: non farà più luce. La lascio andare: temo di averla perduta. Ma il dono che ricevo è più grande: è un ricordo di magia e di grazia che mi aiuta a restare libero.”
Georges Didi-Huberman

cfr. G.Didi-Huberman, Come le lucciole. Una politica della sopravvivenza, Torino, Bollati Boringhieri, 2010, pp. 100.[leggi tutto]
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15 giugno 2010

Le parole per dire

"Devi scrivere, e leggere, come ne andasse della tua vita. Non è quello che in genere si insegna a scuola. Al massimo, come ne andasse del tuo sostentamento (il prossimo risultato, il prossimo lavoro, borsa di studio, cattedra, promozione, fama); nessuna domanda di altri significati. E, ammettiamolo, la lezione data a scuola a un gran numero di bambini – e quindi di lettori – è: “Questo non ti riguarda”. Leggere come ne andasse della tua vita significherebbe portare nella tua attività di lettore le tue convinzioni, il turbine della tua vita onirica, le sensazioni fisiche della tua quotidiana vita carnale; e contemporaneamente permettere a quello che leggi di perforare le comode e impermeabili abitudini in cui quotidianamente la tua vita carnale viene mappata e incanalata. E a quel punto che ne sarebbe delle risposte giuste, dei compiti a cosiddetta “risposta multipla” dove la matita deve barrare un’opzione e un’opzione sola? Scrivere come ne andasse della tua vita: scrivere sulla lavagna, vergandoci in parole pubbliche ciò che hai."
Adrienne Rich 

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13 giugno 2010

Tra privilegi e favoritismi

"[....] Antica società di ceti, dominata da una forte rigidità gerarchica, la società italiana si è abituata a considerare il privilegio l’unico contenuto effettivo del rango. Essere qualcuno significa, in Italia, innanzitutto stare al di sopra della massa. E nella Penisola tutti — giornalisti, tassisti, parlamentari, membri di tutti gli ordini professionali, magistrati—tutti vogliono essere al di sopra degli altri, titolari di qualche privilegio: essere esentati da qualche obbligo; avere delle riduzioni; degli sconti o come minimo dei biglietti omaggio; rientrare in un «numero chiuso»; fruire di un’ope legis; godere di un trattamento speciale; magari di una cassa mutua riservata. Ma il massimo del privilegio, la consacrazione del vero privilegiato, sta altrove. Sta nella possibilità di chiedere «favori», e naturalmente di ottenerli. Ed egualmente lì sta la dimostrazione indiscutibile del rango. Infatti si possono chiedere favori solo se si «conosce » (fornitori, nomi importanti, persone in posti chiave), e naturalmente si «conosce» solo se a propria volta si è «conosciuti », cioè se si è qualcuno. [...]
Grazie all’intercettazione telefonica si rompe finalmente l’opacità del grande privilegio sociale, quello dei politici e dei ricchi innanzitutto, e l’aura di riservatezza di cui esso si nutre. Finalmente i discorsi dei potenti sono squadernati nella loro volgare quotidianità, nei loro desiderata, perlopiù inconfessabili, nei loro intrighi, ed esposti una buona volta al giudizio dei più. Nella sua versione italiana l’intercettazione telefonica diventa così la vendetta della plebe sull’oligarchia, la rivalsa della demagogia sulla democrazia. È lo sputtanamento, come è stato esattissimamente detto: lo sputtanamento demagogico, appunto, opposto alla pubblicità democratica. Una forma di giustizia violenta ed elementare, senza appello e senza garanzia alcuna. Una specie di linciaggio incruento. Ciò che è terribile è che la maggior parte di coloro che vivono in questo Paese pensi che sia questa, oggi, la sola forma di giustizia possibile. Ed ancora più terribile è che, probabilmente, hanno pure ragione."
Ernesto Galli della Loggia


*E. Galli della Loggia, L'opacità del potere, "Il Corriere della sera", 12 giugno 2010. [leggi tutto]

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08 giugno 2010

Quella immensa felicità

"[....] Parlavo una volta con Cesare Garboli di queste cose e dei nostri sentimenti: quelli dei giovani italiani di allora. Che cosa ci aveva segnato così profondamente? La risposta di Cesare fu fulminante: la felicità. L'immensa felicità non solo di sentirsi giovani (a tutti è capitato), ma anche di aver ritrovato quel Paese che la retorica fascista aveva reso sco­nosciuto. L'umile Italia, la patria di tutti. Un Paese di­strutto, tradito, affamato, attrversato da eserciti stranieri, ma finalmente libero tornava nelle mani dèl suo popolo ve­ro. E quella straordinaria felicità consisteva esattaménte in ciò: nel sentirsi liberi, nel fatto che si rientrava nell'Europa civile e che, quindi, l'orizzonte delle nostre menti e delle nostre speranze si allargava. Tutto diventava possibile, si erano riaperte - sia pure coperte di macerie - le strade del­l'avvenire. E noi volevamo percorrerle. Ma a questo ho già accennato. Al fatto che partecipammo a quel raro momen­to della vita di un popolo in cui la politica si fa storia e an­che l'atto politico più urmile tocca la sfera dei valori e dei significati. E in cui perfino in un Paese rissoso e diviso da secoli come l'Italia si cerca il senso di una impresa collettiva, di una sorte comune.
Sono passati più di sessant'anni da allora. E finito il No­vecento, il mondo sta subendo la più grande mutazione e il più grande allargamento dei suoi orizzonti, paragorabile soltanto agli effetti che ebbero per la civiltà europea le scoperte geografiche. Che cosa resta di quella riconquista della patria? Si potrebbe rispondere che resta la cosa semplice e che, dopotutto, è la più solida: la trasformazione ne di un Paese di contadini e di analfabeti in una grande potenza industriale. Si è trattato davvero di un miracolo. In pochi anni l'Italia povera - quella che ci guarda ancora dagli schermi del cinema neorealista - è scomparsa. Al suo posto sono cresciuti, insieme a un vasto ceto medio, ric­chezze enormi e povertà estreme. Abbiamo raggiunto le re­gioni più opulente del mondo.
Eppure c'è qualcosa che non torna in questa storia. Gli italiani non sembrano consapevoli del perché e ad opera di quali fattori tutto ciò sia avvenuto. Il campo che si potreb­be chiamare della "identità" o del senso comune è sempre più occupato da una nuova destra. Di essa fa parte un par­tito il quale non nasconde che il suo scopo è porre fine al­lo Stato unitario e il suo capo, il Bossi, prima di diventare ministro si vantava di pulirsi il c ... col tricolore. Quanto a Berlusconi, io non so dare torto a chi osserva che costui rappresenta la rottura, per la prima volta così netta (a dif­ferènza anche del fascismo), col patrimonio dei valori ri­sorgimentali, quelli con cui molte generazioni avevano pensato l'Italia unita.  [...]"
Alfredo Reichlin

*Alfredo Reichlin, Il midollo del leone. Riflessioni sulla crisi della politica, Roma-Bari, Laterza. 2010, pp. 54-55.

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04 giugno 2010

La dittatura dell'immagine

"[...] Siamo oggi, molto più che ai tempi di Bacon, in una società dell'immagine, ed è una constatazione sufficientemente realistica dire che oggi sembra che solo ciò che esiste a livello di immagine ha diritto di cittadinanza. Io credo che oggi, tra i requisiti per un cambiamento per un'alternativa civile, etica, sociale, una condizione di grande importanza sia quella di sfuggire alla frenesia e alla sudditanza dell'immagine. Credo, per esempio, che chi opera in politica ed in altri enti pubblici, sa benissimo che anche la migliore idea non serve se poi non viene riconosciuta o se più semplicemente viene deformata. La concorrenza sull'immagine e per l'apparire sulla stampa e sulla televisione fa parte quindi di un certo senso del mestiere. Credo però che una costruzione di alternativa sia possibile solo da parte da chi, non solo si sia appunto liberato dall'idolo del foro, cioè del denaro e del mercato, ma anche di questo dell'immagine. Altrimenti non c'è dubbio, e lo vediamo in questa fase politica, che tutto, tutto verrà sottoposto alla utilizzabilità sul piano dell'immagine, della spettacolarità, della finzione, insomma della non-verità.
Sostanzialmente quindi, se si vuole lavorare in un cambiamento, occorrono ambiti, persone, comunità che in qualche modo incoraggino anche chi sia stanco della dittatura dell'immagine, cioè che incoraggino per esempio chi non è servo dell'immagine televisiva o della stampa, sia che si tratti di magistrati o che si tratti di vescovi, sia che si tratti di sportivi o che si tratti di medici. Sappiamo che nel momento in cui l'esercizio di una funzione, l'esercizio di una partecipazione civile o di qualunque altra cosa, si svolge sotto il condizionamento dell'idolo del teatro e della sceneggiata, allora è pressoché impossibile la reale partecipazione e il peso della gente, e la stessa verità in tanti ancora sarà assente. [...]".
Alexander Langer

*Conferenza tenuta a Viterbo nel 1995 (fonte http://web.tiscali.it/outis-wolit/langer.html).

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03 giugno 2010

Libertà di stampa

"[...] Laddove la libertà di stampa non esiste il pubblico si abitua ai sospetti; si crea fantasmi, li ingrandisce e se ne impaurisce. I decreti sulla stampa, i sequestri e le diffide ai giornali sono potenti fattori di ribasso.[...]. In una società, deve esistere una valvola di sicurezza per lo spirito di critica, di mormorazione, di opposizione. La valvola di sicurezza meno costosa, meno pericolosa finora inventata dagli uomini è il governo parlamentare, alleato alla libertà di stampa. Non sono, questi due istituti, prodigi di perfezione; ma sono quanto di meglio l'intelligenza umana ha saputo inventare. Laddove questi due istituti sono soppressi, entrano in scena altre valvole che non si sa precisamente come siano fatte e come funzionino: la diceria, il sospetto, l’incertezza! "
Luigi Einaudi
"Il Caffè", 25 gennaio 1925.
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