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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

31 dicembre 2011

Un giorno davanti alla scuola....

"[....] Da una parte, quindi, l’immigrazione è un avvenimento in fase di continua evoluzione, certo, ma nella sostanza già digerito dal sistema, grazie alle seconde e alle terze generazioni. Da un’altra parte, la storia insegna che ciò che sta avvenendo in Europa in questi anni è sempre avvenuto, riguarda gli italiani direttamente sia quando accolgono sia quando sono accolti. Le migrazioni nelle Americhe, le migrazioni in cerca di lavoro dal Sud tutte cose che ripetiamo come una cantilena, perché le sappiamo. E allora perché le ripetiamo?
Perché accanto a un sistema che è già in atto, e che porterà tra cinquant’anni a una proporzione tra italiani e stranieri (diciamo così) impossibile da dipanare (finalmente), i freni che si vedono sono più violenti, insensati, evidenti. Questo paese non è razzista. Ma all’interno di questo paese, i razzisti sono sempre più feroci, perché sentono che stanno perdendo. L’Italia non è quella che vuole far credere la Lega, e non lo è soprattutto nei luoghi dove la Lega prospera. Ma proprio per questo motivo, cresce la violenza teorica contro l’immigrazione.
Tutto questo ha un fatto di cronaca esemplare. Se ci si ferma davanti a una scuola, all’uscita degli alunni, si vede un paese. Se però si guarda ai fatti di cronaca, il paese è un altro. Ed è quello che, per forza di cose, bisogna ancora usare come fermo immagine esemplare anche se non lo è più, non può esserlo più.[...]"
Francesco Piccolo
* F. Piccolo, Immigrati. Un giorno davanti alla scuola. "L'Unità", 31 dicembre 2011.___




24 dicembre 2011

Natale 2011



Lele Luzzati


"Fuori dalle nostre stanze addobbate per un perpetuo Natale, la piccola fiammiferaia della fiaba di Andersen sta consumando tutti i suoi fiammiferi, esaurendo la riserva di fuoco, di lume, di pazienza. Mi affido ai versi di un poeta di Sarajevo, Izet Sarajlic che così chiude una sua poesia sui traslochi forzati degli uomini: "O il mondo sarà presto popolato esclusivamente da emigrati, o dovrà diventare l'unica patria universale degli uomini."
Erri De Luca

*estratto da A.Ballerini - A. Benna, Il muro invisibile, Genova, Fratelli Frilli, (Prefazione).

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18 dicembre 2011

Sguardi di futuro


Vaclav Havel 1936-2011
 "Sganciarsi dalla zavorra delle abitudini e delle categorie politiche tradizionali, aprirsi totalmente al mondo dell'esistenza umana e dalla sua analisi soltanto desumere le conclusioni politiche, non solo è politicamente più realistico ma è anche - dal punto di vista della "condizione ideale" - politicamente più ricco di prospettive" (V. Havel, Il potere del senza potere, Milano, 1991, p. 45). 

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"[...] Perché mai nei tempi passati si costruivano edifici così sontuosi, di scarsa utilità secondo gli standard attuali? Una possibile spiegazione è che ci sono stati periodi storici in cui il profitto materiale non rappresentava il valore assoluto, in cui gli uomini erano consapevoli dell'esistenza di misteri inspiegabili ai quali si poteva solo guardare con umile meraviglia per poi forse proiettare questa meraviglia in strutture dalle guglie svettanti in alto. In alto, perché si vedessero da lontano indicando a ciascuno ciò che vale la pena di guardare. In alto, oltre i confini dei secoli, in alto, verso ciò che non riusciamo a vedere, la cui silenziosa esistenza preclude, a noi tutti, qualunque diritto di considerare il mondo una fonte infinita di profitti a breve termine e richiede la solidarietà di tutti coloro che dimorano sotto la sua volta misteriosa. Per iniziare ad affrontare alcuni dei più profondi problemi del mondo dobbiamo anche noi volgere gli occhi in alto, chinando il capo con umiltà".

Vaclav Havel

*V. Havel, Investire nei valori umani per riscattare i paesi poveri, "la Repubblica", 28 dic. 2000.
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12 dicembre 2011

Sacrifici

[...] E oggi, incapaci come siamo stati di comunicare la valenza umanizzante dello sforzo e della rinuncia, ci ritroviamo tutti in una cultura impossibilitata a intravedere un orizzonte di bene comune e di speranza, abbiamo assistito al rarefarsi di persone pronte a dedicare tempo, mezzi, energie, beni per una maggiore umanizzazione, per la crescita di una convivenza pacifica, per l’affermazione di valori e principi degni dell’uomo o, ancor più semplicemente, per preparare un futuro migliore per i propri figli. Mancanza davvero grave, perché il sacrificio è una cosa seria: significa privarsi di un bene, astenersi da una possibilità in vista di un bene più grande che, se è tale, riguarda tutti, concerne la communitas e non il mio interesse personale. Spendere le proprie energie, fino al gesto estremo di sacrificare la vita stessa è possibile e doveroso se con quel sacrificio si ottiene giustizia, pace, libertà: quanti uomini e donne nella storia hanno sacrificato tempo, risorse, affetti per la realizzazione di ideali e per sconfiggere l’ingiustizia a beneficio di tutti.
Ma riscoprire il significato fecondo del sacrificio richiede un discernimento su azioni e comportamenti che da tempo abbiamo rinunciato a esercitare, assumendo senza alcuna criticità quello che il consumo, il mercato e la propaganda ci presentavano come stile di vita «normale». Così non sappiamo più distinguere tra necessario e superfluo, né riusciamo a mettere ordine nel nostro universo mentale e comportamentale tra bisogni, desideri, voglie, sogni e capricci. Si è come smarrita ogni scala di priorità: tutto pare sullo stesso piano, perché tutto attiene in positivo o in negativo al suo impatto sulle nostre sensazioni immediate. Noi abbiamo smarrito il senso della communitas tra contemporanei come di quella che ci lega con responsabilità alle generazioni future: vogliamo leggere, definire, vivere e consumare il nostro orizzonte limitandolo a un «io» narcisistico e prepotente o a un «noi» ristretto e fissato dal nostro vantaggio e non dalla realtà della polis.
Credo che questo smarrimento culturale ed etico abbia profondamente a che fare con l’affievolirsi del «senso» attribuibile ai «sacrifici»: se non ci sono principi condivisi, se non c’è un fine superiore alla momentanea soddisfazione personale, se non si percepisce alcun legame tra generazioni né responsabilità verso il futuro della collettività, sarà ben difficile rinunciare spontaneamente a qualcosa o aderire con convinzione a una rinuncia imposta dalle circostanze avverse. Se manca un orizzonte condiviso, se ogni atteggiamento è eticamente indifferente, se pretendiamo come diritto tutto ciò che è tecnicamente o economicamente possibile, allora ci troveremo impotenti di fronte a ogni avversità, le subiremo come catastrofi ineluttabili e cercheremo di sottrarci ad esse senza gli altri o addirittura contro di loro. Il sacrificio amputato della solidarietà, la rinuncia svuotata della speranza, il prezzo da pagare dissociato dal valore del bene da acquisire diventano insopportabili: nella communitas, infatti, il sacrificio è il debito che io liberamente assumo verso l'altro, altrimenti la communitas stessa cessa di esistere.
Solo un ideale altro e alto, la speranza di contribuire a un mondo migliore di quello che abbiamo conosciuto, la preoccupazione per il benessere di chi verrà dopo di noi, la solidarietà con chi, vicino o lontano da noi, non può accedere a beni essenziali che noi non ci rendiamo nemmeno più conto di possedere può spingerci non solo ad accettare i sacrifici ma ad affrontarli con consapevolezza e convinzione: quanti tra coloro che ci hanno preceduto avrebbero affrontato le difficoltà della vita se non avessero sperato di offrirci una condizione migliore? Perché il risultato del sacrificio non è il poterne fare finalmente a meno, bensì l’affermare con la propria vita quotidiana che un altro mondo è possibile, che l’uomo non è nemico dell’uomo e che vi sono principi di equità, di giustizia, di pace, di solidarietà che vale la pena vivere a qualunque prezzo: in fondo, il valore di ogni nostro desiderio è il prezzo che siamo disposti a pagare per raggiungerlo.[...].
Enzo Bianchi
*E. Bainchi, Sacrifici, segnali d'amore, "La Stampa", 11 dicembre 2011.

10 dicembre 2011

Poesia

Felice inferno

All'albero che torna a fiorire,
al giardino ornato di rose
Iddio accordò la gioia,
perché non sanno.
Ma noi ammalati di troppo sapere,
dotati d'intelligenza insopprimibile,
come può sorgere nel nostro cuore
la gioia del mondo sereno?...
Per me son tornati a fiorire
l'albero e la rosa rossa,
il gioioso mio cuore è piantato
alle porte dell'inferno.
Lea Goldberg



*Lea Goldberg (1911-1970), poetessa israeliana di origine lituana.
cfr. L. Goldberg, Sulla fioritura, Milano, A Oriente, 2011.



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04 dicembre 2011

Cristianità

"[...] Occorre anche riflettere su una dinamica storica inedita che da alcuni anni sta aprendo nuovi scenari nella penisola arabica: in quei Paesi in cui è vietata ai cristiani ogni attività missionaria perché ritenuta proselitismo sono ormai presenti più di tre milioni di cristiani giunti con i consistenti flussi migratori legati alle attività economiche e lavorative. Non si può più parlare quindi di sparute minoranze, ma di una presenza viva e operosa. C'è infine un ulteriore elemento che dovrebbe interpellare i cristiani dei Paesi dove si può serenamente professare il proprio credo: per gli avversari della fede cristiana - che sono alcuni estremisti e non l'insieme dei credenti musulmani - non vi è differenza tra siro-cattolici o copti ortodossi, tra protestanti americani o cattolici europei... per loro è chiara l'appartenenza a un'unica comunità religiosa, nella quale spariscono la differenze confessionali. È quanto i cristiani hanno già sperimentato in altre situazioni di oppressione e persecuzione: dai Gulag sovietici ai Lager nazisti, la sofferenza e il martirio subiti in nome di Cristo hanno portato a superare barriere che le rispettive istituzioni ecclesiali e le secolari divergenze teologiche avevano eretto. Quando i cristiani sono ricondotti al «caso serio» della loro fede - il testimoniare fino al dono della vita che si ha una ragione per vivere tanto forte da diventare anche ragione per morire - dimenticano quanto li divide e li contrappone e riscoprono l'essenziale che li unisce: il loro credere nella morte e resurrezione del loro Signore, il giusto che in un mondo ingiusto ha pagato con la vita la sua passione per la fraternità umana.[...]"

Enzo Bianchi


*Enzo Bianchi, Con i perseguitati non contro i persecutori, "La Stampa", 7 novembre 2010

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