"[...] Siamo quello che siamo: ognuno di noi, anche il contadino, anche l'artigiano più modesto, è ricercatore, e lo è da sempre. Dal pericolo innegabilmente insito in ogni nuova conoscenza scientifica ci possiamo e dobbiamo difendere in altri modi. E' verissimo che (cito Ryle) «la nostra intelligenza si è accresciuta portentosamente, ma non la nostra saggezza»; ma mi domando, quanto tempo, in tutte le scuole di tutti i Paesi, viene dedicato ad accrescere la saggezza, ossia ai problemi morali? Mi piacerebbe (e non mi pare impossibile né assurdo) che in tutte le facoltà scientifiche che si insistesse a oltranza su un punto: ciò che farai quando eserciterai la professione può essere utile per il genere umano, o neutro, o nocivo, Non innamorarti di problemi sospetti. Nei limiti che ti saranno concessi, cerca di conoscere il fine a cui il tuo lavoro è diretto. Lo sappiamo, il mondo non è fatto solo di bianco e di nero e la tua decisione può essere probabilistica e difficile: ma accetterai di studiare un nuovo medicamento, rifiuterai di formulare un gas nervino. Che tu sia o no un credente, che tu sia o no un "patriota", se ti è concessa una scelta non lasciarti sedurre dall'interesse materiale o intellettuale, ma scegli entro il campo che può rendere meno doloroso e meno pericoloso l'itinerario dei tuoi coetanei e dei tuoi posteri. Non nasconderti dietro l'ipocrisia della scienza neutrale: sei abbastanza dotto da saper valutare se dall'uovo che stai covando sguscerà una colomba o un cobra o una chimera o magari nulla."
Primo Levi
*P. Levi, Covare il cobra, in "La Stampa", 21 sett. 1986.
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