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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

11 ottobre 2008

Radici



Giovanni Bazoli
La vigna e la Costituzione
"La Repubblica", 28 novembre 2001.
Attualità di una parabola evangelica
Uguaglianza tema principe del secolo ventesimo La delusione degli operai sulle strade di Tripoli Nel racconto di Matteo gli operai svolgono un lavoro di diversa durata ma ricevono la stessa paga Come giudicare questa disparità? La giustizia suprema è appannaggio solo di Dio ma spetta allo Stato il compito di realizzare l'eguale dignità di tutti gli uomini .
Il Vangelo è il racconto dei modi in cui la bontà divina si manifesta e opera; e noi abbiamo il dovere di interrogarci sulle parole evangeliche che sono il tramite per accedere al mistero. Solo procedendo nella ricerca e trovando una risposta al quesito riguardante il nesso tra la bontà e la giustizia divina, in rapporto alle opere degli uomini, si potrà pervenire — come cercherò di dimostrare — a cogliere il pieno significato della parabola, nonché le sue possibili implicazioni, che non riguardano solo l'ambito teologico, ma anche quello etico e politico.
La risposta che andiamo cercando ci è fornita dalla parabola stessa: e precisamente da quel passaggio del racconto in cui si dice che il padrone della vigna si rivolge agli ultimi operai, per chiamarli al lavoro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?” Ed essi rispondono: “Quia nemo nos conduxit”, perché nessuno ci ha chiamati. Questo passaggio è la chiave per una corretta interpretazione della parabola. Molti esegeti hanno ritenuto di poter trascurare o addirittura hanno voluto forzare questo passo per far coincidere — io dico: per confondere — il tema di questa parabola con quello della conversione. Gli ultimi operai non avrebbero risposto per loro colpa alla precedente chiamata del Padrone (che sarebbe stata rivolta a tutti e quindi anche a loro) e solo all'ultima ora avrebbero accettato di andare a lavorare nella vigna. (…) Due anni fa, mentre tornavo da Tripoli, percorrevo una strada periferica verso l'aeroporto. Ricordo una lunga fila di operai in attesa di essere presi a giornata. (…) Quei lavoratori attendevano sotto il sole cocente di essere raccolti dai camion dei padroni; e quando uno veniva scelto e caricato, la delusione si leggeva sul volto degli altri che rimanevano a terra. Non stavano oziando: erano lungo la strada come gli ultimi operai evangelici erano nella piazza. Nella nostra parabola, dunque, “Quia nemo nos conduxit” non descrive pigrizia o ignoranza, bensì una differenza di opportunità, non dipendente dalla volontà dei lavoratori.
Con questa parabola il Signore ha voluto sottolineare l'esistenza di una disparità di risorse, di occasioni, ammonendoci che occorre tenere conto delle disuguaglianze iniziali, ossia, più in generale, delle ragioni di una diversa “resa” degli uomini. Il significato è dunque questo: nell'attribuzione della mercede, cioè della felicità eterna, si seguirà un ordine inatteso, diverso da quello osservato in terra. I giudizi e le valutazioni di questo mondo saranno ribaltati perché si terrà conto della diversità di condizioni in cui gli uomini sono stati chiamati a prestare la loro opera. Se ci domandiamo che cosa significhi “lavorare nella vigna” la risposta è chiara: significa dare un senso alla vita, perché ogni uomo si realizza nel lavoro. Lavorare comporta che si debba sopportare il peso di una giornata intera di fatica e di caldo, come fanno presente i primi operai; ma è un privilegio, è impiegare al meglio la propria vita.(…) Il tema della diseguaglianza nella distribuzione delle risorse tra gli uomini — la disparità nella chiamata, nell'offerta di occasioni di lavoro, è la chiave per comprendere la straordinaria portata della parabola. Orbene, se la giustizia divina provvederà a rimediare in modo perfetto a tali disparità, è evidente che gli uomini si devono adoperare per ridurle qui, nell'ordine terreno, dove le diseguaglianze e le disparità di opportunità e di risorse, sia tra individuo e individuo, sia tra popolo e popolo, continuano a sussistere, anzi ad aggravarsi. Ma fino a che punto può spingersi il tentativo dell'uomo di perseguire il superamento delle condizioni di diseguaglianza tra i singoli e tra le nazioni? E' chiaro che l'uomo può agire solo sui fattori economici e sociali che sono cause di disuguaglianze, non sui fattori, per così dire, “naturali”. La giustizia suprema è appannaggio solo di Dio, che in virtù della sua onniscienza potrà realizzare nel Regno l'uguaglianza perfetta tra le creature. Proporsi di perseguire nel mondo tale obiettivo tramite l'azione politica significherebbe correre il rischio di cadere nella teocrazia e nelle derive del fondamentalismo.
Di fronte ai traguardi indicati dall'insegnamento evangelico il politico deve evitare due rischi opposti: quello di pretendere di realizzarlo in modo integralistico e quello speculare di giudicarlo utopistico e quindi irrealizzabile. Il cristiano non può sottrarsi al compito di mirare ad obiettivi coerenti con quegli insegnamenti ma sa di non avere nelle mani nessuna verità assoluta sui modi per realizzarli. (…) Con questo limite della laicità, quale può essere il progetto terreno più aderente all'indicazione evangelica di porre rimedio alle disuguaglianze? E' ben noto che proprio il tema dell'uguaglianza — o meglio delle disuguaglianze tra individui, classi e nazioni — è stato centrale nel dibattito e nello scontro, che ha segnato il secolo XX, tra liberismo e marxismo. La pretesa estrema e utopica, che ha motivato l'ideologia comunista, di realizzare attraverso lo Stato una piena uguaglianza tra gli uomini e tra le classi di lavoratori, non ha raggiunto l'obiettivo dichiarato.(…) Il pensiero liberale, che nelle sue versioni più radicali si era opposto alla previsione di qualsiasi intervento statale nel campo economico, negli sviluppi più maturi e aperti alle istanze sociali riconosce la perfetta compatibilità con gli obiettivi della maggiore efficienza economica di interventi statali volti ad attenuare le disparità iniziali dei cittadini (la teoria einaudiana del livellamento delle “posizioni di partenza). Confrontando i temi di questo dibattito con il messaggio che abbiamo attribuito alla nostra parabola, appare coerente con tale messaggio evangelico una previsione che assegni allo Stato il compito di “realizzare in fatto, il più possibile, l'eguale dignità di tutti gli uomini”, rimuovendo le cause di ordine economico e sociale che ostacolano il raggiungimento di tale obiettivo.
A questo punto posso far notare che con queste parole io ho anticipato quasi alla lettera ciò che dice l'articolo 3, comma 2 della nostra Costituzione. “E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese”. Non credo di dover aggiungere altro per sottolineare come in questa norma sia riconoscibile una diretta ispirazione “cristiana”, anzi evangelica. E di conseguenza credo anche di poter qui fondatamente sostenere che qualunque iniziativa di revisione costituzionale che toccasse questo articolo, così come gli altri che fanno parte del Preambolo della nostra Costituzione, sarebbe un atto grave e irresponsabile.
Nella discussione su questa norma all'Assemblea costituente, la consapevolezza da parte di ogni settore politico delle sue radici culturali, è testimoniata dalle parole pronunciate il 6 marzo 1947 da Lelio Basso, un politico non certo di parte cattolica: “Noi avremo realizzato una grande opera se riusciremo a tradurre nella nostra Carta costituzionale questa grande aspirazione di libertà e di giustizia sociale (...), se riusciremo a tradurre quei principi in cui si incontrano i più antichi motivi della civiltà cristiana”. Oggi un'ulteriore prospettiva appare sempre più incalzante e ineludibile: quella di trasferire nell'ambito dei rapporti internazionali un principio giuridico come questo che abbiamo considerato, assegnando ad un ordinamento sopranazionale il compito di promuovere il superamento delle condizioni di disparità esistenti non solo tra i cittadini di uno Stato, ma tra tutti i popoli della terra.
*estratto dal sito http://www.repubblica.it/
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