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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".
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05 agosto 2021

Parlar male



"Parlare male di qualcuno nell'illusione di riscattare la propria mediocrità."
Michele Serra


*L'amaca di Michele Serra, "la Repubblica", 5.8.2021.
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04 ottobre 2020

La gentilezza

"La gentilezza è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall'ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall'urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto a essere felici. Oggi raramente si trovano tempo ed energie disponibili per soffermarsi a trattare bene gli altri, a dire “permesso”, “scusa”, “grazie”. Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza. Questo sforzo, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. La pratica della gentilezza non è un particolare secondario né un atteggiamento superficiale o borghese. Dal momento che presuppone stima e rispetto, quando si fa cultura in una società trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca di consensi e apre strade là dove l’esasperazione distrugge tutti i ponti."

Enciclica Fratelli tutti, 224" , 3.10.2020.

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09 maggio 2014

Promemoria 2010 per il 2014

"Della motivazione con cui il tribunale di Firenze ha negato la libertà provvisoria a due comandanti delle ferocissime Truppe d’Appalto (Balducci & De Santis) mi ha colpito l’ultima riga: «Gli indagati mostrano una evidente carenza di percezione della antigiuridicità del proprio comportamento». Insomma, dopo mesi di cella, i signori della Cricca continuano a non capire cos’hanno fatto di male. Anche il caso Scajola e le recenti dichiarazioni dell’ex ministro Lunardi rivelano uno stile di vita allucinante percepito come assolutamente normale. La famosa filosofia dell’Embè. Ho ristrutturato casa a un amico, embè? L’amico ha dato un lavoro a mio figlio, embè? Mio figlio ha messo su una società con la moglie dell’amico, embè? Un embè tira l’altro e alla fine tutti confluiscono nel Grande Embè che rischia di sommergerci. Perché Balducci e De Santis non sono schegge impazzite, ma espressioni estreme di un atteggiamento diffuso: il primato delle relazioni sulle capacità, delle conoscenze sulla conoscenza. Chi entra in contatto con un ente pubblico non si chiede neanche più quali siano le procedure. La sua unica preoccupazione è: conosco qualcuno lì dentro? Il morbo ha invaso persino i recinti sacri della giustizia, dove l’avvocato più ricercato non è quello che conosce la legge, ma quello che conosce il giudice. [...]"


Massimo Gramellini

*M. Gramellini, Il grande Embé, "La Stampa", 18 giugno 2010.

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08 maggio 2014

Amore / Cara / Gioia / Tesoro


A Genova in ogni negozio, al mercato ovunque ormai si è accolti dalla sequenza   "Amore" / "Cara" / "Gioia" / "Tesoro", espressioni d'affetto talmente ricche di significato che devono essere custodite per le persone che ci sono più care, non possono essere spese a caso per tutti. Si dovrebbe ricordare che esiste un preciso contesto  in cui ad ogni persona che si incontra  si dice in automatico  "Amore" / "Cara" / "Gioia" / "Tesoro" ed è il contesto (squallido) dell'amore a pagamento  perché le parolette di finto affetto sono  comprese nel prezzo concordato.

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23 dicembre 2010

Le feste

 
Andrea Agostini
   
"Celebriamo le feste. Festeggiamo chi ci ama, le stagioni, le lune. Ciascuno ritroverà la certezza che quaggiù c'è posto per lui. Forse è questo, l'essenziale. La festa crea un ordine solenne in cui ciascuno è confermato, nel proprio ruolo, nel proprio posto rispetto al tutto. E' questo, credo, ciò che manca agli uomini del nostro tempo: la certezza di avere il proprio posto nella festa esuberante e tragica del mondo e della storia. Ancor più dell'uguaglianza, è di questa sicurezza che gli uomini hanno bisogno. Senza, prendono a mettere in dubbio il senso della vita, e vivere nell'immensità senza forma è insopportabile. Perché tutto, nell'assenza di senso, si dissolve. E' il regno della grande noia dell'uomo, è il contrario della festa."
Jeanne Hersch

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18 febbraio 2010

Servitori dello Stato

[....] La riservatezza, il senso d’opportunità, l’estraneità ad amicizie potenzialmente in conflitto rispetto agli obblighi della funzione, per un dipendente statale, di qualsiasi livello e a qualsiasi ordine appartenga, non sono manifestazioni di ipocrisia o di moralismo bigotto e passatista. Sono sacrifici, magari anche limiti a quella manifestazione del pensiero che è costituzionalmente garantita a tutti i cittadini, ma che si esercita nelle forme e nei modi consentiti a chi riveste un ruolo così delicato. Possono essere anche «discriminazioni», come le chiama il pm Nicastro, a cui si dovrebbero assoggettare volentieri coloro che, senza alcuna costrizione, scelgono una carriera nell’amministrazione pubblica.
Il prossimo anno si festeggeranno i 150 anni dello Stato italiano. Invece dei soliti riti celebrativi e delle solite polemiche retrospettive sulle virtù degli Stati borbonici e le crudeltà repressive dei piemontesi, ecco un bel tema di riflessione e di discussione pubblica. Anche perché la corruzione va colpita in sede giudiziaria, ma va combattuta prima di tutto nella testa dei cittadini. Specie se sono «servitori dello Stato».
Luigi La Spina

Luigi La Spina, Chi serve lo stato non ha amici, "La Stampa", 18 febbraio 2010 [.. leggi tutto].

Per capire chi é un "servitore dello Stato" v. Nando dalla Chiesa, Il giudice ragazzino. Storia di Rosario Livatino assassinato dalla mafia sotto il regime della corruzione, Torino, Einaudi 1992.

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11 novembre 2008

1996 - L'esibizione del privato - 2008

Umberto Galimberti
Questo mondo senza più vergogna
“La Repubblica”, 19 agosto 1996

LE SCRIVO, gentile Raffaella Zardo, perché sono stato colpito da una frase che lei ha pronunciato all' uscita del palazzo di Giustizia di Biella. Intervistata dai giornalisti lei ha detto: "Non ho nulla da nascondere, nulla di cui vergognarmi". Penso che lei si riferisse alle accuse di aver frequentato e fatto frequentare magari con un eccesso di disinvoltura e per ragioni di carriera personaggi pseudoculturali che vendono in confezione filosofica alcune idee elementari che per caso attraversano la loro mente e poi sprecano pagine di giornali per precisare che lei non era nella loro casa ma in quella della figlia o degli amici della figlia. Di questo, gentile Raffaella, non deve vergognarsi. Coltivare sentimenti di gerontofilia può talvolta tornare utile nella cura degli anziani. E neppure deve vergognarsi di aver frequentato, non si sa se per ragioni di sentimento o di autoaffermazione (la differenza in certe persone è molto difficile da tracciare) camere da letto di personaggi dalle facce che sembrano fatte in serie e programmate per adescare con il potere quel che a loro non riesce con la seduzione. Anche di questo non si deve vergognare. In fondo è un fenomeno molto diffuso in tutti i posti di lavoro, dai più umili ai più elevati come ad esempio il raggiungimento di una cattedra universitaria. Perché proprio lei deve "nascondere" quello che è sotto gli occhi di tutti? Perché deve "vergognarsi" di una pratica così frequente? QUEL CHE invece mi disturba è che lei con quelle frasi: "Non ho nulla da nascondere, non ho nulla di cui vergognarmi" dà manforte a quella pubblicizzazione del privato che è l'arma più efficace impiegata nelle società conformiste per togliere agli individui il loro tratto "discreto", "singolare", "privato", "intimo", dove è riscontrabile quella riserva di sensazioni, sentimenti, significati "propri" che resistono all' omologazione che nelle nostre società di massa è ciò a cui il potere tende per una più comoda gestione degli individui. Allo scopo vengono solitamente impiegati i mezzi di comunicazione che, dalla televisione ai giornali, con sempre più insistenza irrompono con "indiscrezione" nella parte "discreta" dell' individuo per ottenere non solo attraverso test, questionari, campionature, statistiche, sondaggi d' opinione, indagini di mercato, ma anche e soprattutto con intime confessioni, emozioni in diretta, storie d' amore, trivellazioni di vite private, che sia lo stesso individuo a consegnare la sua interiorità, la sua parte discreta, rendendo pubblici i suoi sentimenti, le sue emozioni, le sue sensazioni, secondo quei tracciati di "spudoratezza" che vengono acclamati come espressioni di "sincerità", perché in fondo: "Non si ha più nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi". A parte che "vergognarsi" è un verbo riflessivo che dunque rinvia a una riflessione, a una relazione con se stessi di cui non è proprio il caso di vergognarsi, c' è da notare anche che è un verbo che dice la nostra esposizione agli altri. "Vergogna" infatti viene da vereor gognam che significa "temo la gogna, la mia esposizione pubblica". E questa è la ragione per cui solitamente non ci si vergogna della colpa, ma della nostra esposizione agli altri che il nostro pudore avverte più disdicevole della colpa. Quando lei dice "non ho nulla di cui vergognarmi" non sta dicendo solo "non mi vergogno, quindi non sono colpevole", ma anche: "Non mi vergogno, quindi non temo l' esposizione agli altri. Ho oltrepassato quello che per chiunque sarebbe il pudore e ho fatto della spudoratezza non solo la mia virtù, ma la prova della mia sincerità e della mia innocenza". In questo modo lei dà un ottimo esempio di quell' omologazione dell' intimo a cui tendono tutte le società conformiste con somma gioia di chi le deve gestire perché, una volta pubblicizzata, l' intimità viene dissolta come intimità, e gli altri, che dovrebbero stare al confine esterno dell' intimo, diventano letteralmente "inevitabili" ogni volta che lei, ma, stante il suo esempio, ciascuno di noi, prova una sensazione, un' emozione, un sentimento. Questi tracciati profondi dell' anima, in cui ciascuno dovrebbe riconoscere le radici profonde di se stesso, una volta immessi "senza pudore" nel circuito della pubblicizzazione, quando non addirittura in quello della pubblicità, non sono più propriamente "miei", ma "proprietà comune", e questo sia in ordine alla qualità del vissuto, sia in ordine al modo di viverlo. Le espressioni da lei usate: "Non ho nulla da nascondere, nulla di cui vergognarmi" significano innanzitutto: "Sono completamente esposta", "non custodisco nulla di intimo", "la mia anima è completamente depsicologizzata". Se lei dovesse diventare il modello di tante ragazzine che sognano scintillanti carriere, questa sarebbe la sua vera colpa, perché il pudore, prima di una faccenda di mutande che uno può cavarsi o infilarsi quando vuole, è un faccenda d' anima che, una volta depsicologizzata perché si son fatte cadere le pareti che difendono il dentro dal fuori, l' interiorità dall' esteriorità, non esiste semplicemente più. Lei potrebbe obiettarmi che siccome il male avviene di solito segretamente, "segretezza" e "privato" sono per l' opinione pubblica prove del male. E allora, per smentire l' opinione pubblica, omologata su questo pregiudizio, non resta che la spudoratezza di chi si tiene sempre pronto, "mani alla chiusura lampo", per interviste, pubbliche confessioni, rivelazioni dell' intimità. E con ciò siamo approdati al nostro ultimo punto, forse quello decisivo. Con il suo invito a "non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi", che nelle società conformiste è sempre accolto come prova della virtù, lei, anche se non lo sa, sta incitando tutti, come del resto fanno numerose trasmissioni televisive particolarmente seguite, a collaborare attivamente e con gioia alla propria deprivatizzazione. Quanti sono interessati a che l' individuo non abbia più segreti e al limite neppure più un' interiorità, perché le pareti della casa di Psiche sono crollate, non potranno che esserle riconoscenti per avere anche lei dato il suo contributo a trasformare la spudoratezza in una virtù: la virtù della sincerità. Per quanto la cosa possa apparire strana la sua realizzazione nella nostra società è già in corso e il processo di eliminazione del pudore è quasi completo perché il pudore può essere non solo sintomo di "insincerità", ma addirittura, e qui anche gli psicologi danno una mano, di "introversione", di "chiusura in se stessi", quindi di "inibizione" se non di "repressione". E inibizione e repressione, recitano i manuali di psicologia, sono sintomi di un "adattamento sociale frustrato", quindi di una socializzazione fallita. Vede gentile Raffaella Zardo dove si può arrivare avviando una sequenza un po' disinvolta di sillogismi? Ma purtroppo la sequenza è avviata e la nostra vita è diventata proprietà comune. E allora perché non lasciarsi intervistare senza riserva e senza pudore? Ma anche il nostro corpo è diventato proprietà comune, e quel che un tempo era prerogativa di alcune dive, farsi misurare seni e sederi e pubblicar le relative cifre sotto la fotografia, oggi è il gioco di qualsiasi ragazza che non vuol passar per inibita. Ma anche il sesso è diventato proprietà comune e, dalla stampa alla televisione, è un susseguirsi di articoli e servizi sui piaceri e sulle difficoltà della camera da letto, redatti sotto forma di consigli, in modo confidenziale, come se fossero rivolti solo a te e non a cinquanta milioni di orecchie. Questo significa "non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi". Significa che le istanze del conformismo e dell' omologazione, a cui lei gentile Raffaella Zardo ha dato una mano, lavorano per portare alla luce ogni segreto, per render visibile ciascuno a ciascuno, per toglier di mezzo ogni interiorità come un impedimento, ogni riservatezza come un tradimento, per non permettere ad alcuno di vivere e lavorare in case o uffici che non siano di vetro, per apprezzare ogni volontaria esibizione di sé come fatto di lealtà se non addirittura di salute psichica. E tutto ciò, anche se lei e come lei molti altri non ci pensano, approda a un solo effetto: attuare l' omologazione della società fin nell' intimità dei singoli individui e portare a compimento il conformismo. In fondo non è un' operazione difficile. Basta "non aver nulla da nascondere, nulla di cui vergognarsi".

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28 agosto 2008

Diagnosi - 1973

"Le strade, la motorizzazione ecc. hanno ormai strettamente unito la periferia al Centro, abolendo ogni distanza materiale. Ma la rivoluzione del sistema d’informazioni è stata ancora più radicale e decisiva. Per mezzo della televisione il Centro ha assimilato a sé l’intero paese, che era così storicamente differenziato e ricco di culture originali. Ha cominciato un'opera di omologazione distruttrice di ogni autenticità e concretezza. Ha imposto cioè, come dicevo, i suoi modelli: che sono i modelli voluti dalla nuova industrializzazione, la quale non si accontenta più di un "uomo che consuma", ma pretende che non siano concepibili altre ideologie che quella del consumo. Un edonismo neo-laico, ciecamente dimentico di ogni valore umanistico e ciecamente estraneo alle scienze umane."
Pier Paolo Pasolini
*estratto da "Sfida ai dirigenti della televisione" , "Il Corriere della sera", 9 dicembre 1973.
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