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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".
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09 febbraio 2020

Internet, il pifferaio

"Internet. Il pifferaio che ha detto a ciascuno di noi: non hai bisogno di intermediari, seguimi e ti renderò ricco e sapiente. Con una potenza di fuoco e una rapidità mai viste sta terremotando il mondo in cui eravamo vissuti. Commercio, giornali, viaggi, saperi tutto è esposto alla sua seduzione, alla sua forza. È come se dicesse a ognuno: la tua opinione – qualunque essa sia brillante, colta, stupida o ignorante, mostruosa o sensata – è uguale a tutte le altre. È questo il panorama desolante in cui è cresciuto il populismo."
 Yves Mény


*Yves Mény, Robinson di Repubblica, 9.2.2020.


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20 gennaio 2020

Le parole per dirlo



"Io sono una femmina. Se sono bella o brutta, vecchia o ancor degna degli umani clementi sguardi, se sono saggia o svolazzante, lei signor critico osservatore non è sufficiente, né giudice, né conoscitore. Il mio specchio mi dice che non sono la più brutta delle femmine, il mio amor proprio mi persuade che di talento non sono mancante [...] Infine la mia penna mi dice all’orecchio che posso anch’io scarabocchiare [...] Scrivo per essere intesa.”  
Gioseffa Caminer,
La donna galante ed erudita, Venezia, 1787 (prima rivista femminile pubblicata in Italia).

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04 dicembre 2019

Tra Inganno e onestà

"Qual'è invece lo scopo del Nemico? Dividerci per dominarci, indurci a dubitare dell'esistenza di una verità, creare una Babele di linguaggi in cui scompaia il confine tra inganno e onestà
Dario Fertilio 


*D. Fertilio, "Ultime notizie dal diavolo", Guerini scientifica, Milano, 2019, p. 10.

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05 settembre 2019

Strade e piazze

Accade spesso che le persone non conoscano neppure il personaggio o l'evento ricordato nella targa della strada dove abitano, per semplice mancanza di curiosità. Se fossimo attenti noteremmo quanta storia c'è all'angolo di una via. C'è un esercizio semplice, facile ad ogni età. Quando sostiamo in attesa di un autobus, con un rapido sguardo a 360° scopriremmo le mille sfaccettature della storia della città. Pensiamo a quanti mondi ci sono dalla postazione di piazza Tommaseo. Se guardiamo davanti a noi vediamo Villa Paradiso e guardandola attraversiamo secoli interi dal Maragliano fino a Fabrizio de André, che li abitò da ragazzo; e poi Villa Borghese (finalmente in fase di restauro) e poi il monumento che ci ricorda il legame lungo con l'America latina, e tutte le vie attorno che ricordano la vastità degli interessi della Repubblica di Genova (Caffa / Smirne / Armenia / Odessa, ecc.), e poi vediamo il profilo della Chiesa di Nostra Signora del Rimedio (traslocata dal quadrilatero di strada Giulia all'epoca in cui si decise di ridisegnare la città spingendola oltre il Bisagno ma è anche la piazza dei fatti del G8 del luglio 2001; e se poi il bus non è ancora arrivato noteremmo che le case di piazza Tommaseo hanno un piano sopraelevato, costruito negli anni della necessaria ricostruzione del secondo dopoguerra (una guerra devastante anche a Genova) quando si doveva affrontare velocemente il problema della carenza di abitazioni mentre nuovi cittadini affluivano da ogni parte d'Italia , ecc,, ecc. Ed ecco che all'arrivo del nostro bus l'attesa non sarà stata così lunga proprio perché abbiamo viaggiato nel tempo della Storia in modo quasi "tattile".

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11 aprile 2015

Inventare il futuro

"C'è qualcosa che gli umani sanno fare meglio dei computer: porre domande. Se sono giuste, le domande aprono nuove prospettive, che a loro volta possono avviare nuove narrazioni: è forse di questo che abbiamo bisogno. Correggere le tendenze collettive, globali, è un'impresa titanica: se sono automatiche, come per esempio quelle imposte dalla logica dei cosiddetti mercati finanziari, il compito sembra impossibile. Eppure l'impossibile - almeno questo lo sappiamo - non è eterno. E tutti coloro che spostano i limiti del possibile hanno qualcosa in comune. Coltivano un approccio critico, una visione e una pratica della sperimentazione, all'insegna dell'idea suggerita dal tecnologo Alan Kay secondo cui il miglior modo di prevedere il futuro è inventarlo. [...]  Il compito è porre domande, comprendere le dinamiche nascoste nelle strutture che gli umani stessi hanno creato, sviluppare nuove narrative liberatorie, mettere l'accento sulla consapevolezza delle conseguenze. Distinguere tra ciò che è importante e ciò che è solo interessante. E fare l'ennesimo salto culturale. Ognuno, insieme. Con un approccio ecologico ai media. Perché, anche se i computer vanno più veloci, gli umani possono andare più lontano".
Luca De Biase

*L. De Biase, Homo Pluralis. Essere umani nell'era tecnologica, Edizioni Codice, 2015, p.10.


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21 marzo 2015

La libertà d’espressione

«La libertà d’espressione è una delle grandi conquiste moderne della civiltà europea, perseguita fin dall’inizio dalla Repubblica delle lettere. Ma la libertà d’espressione non può voler dire una libertà “espressionista”, senza legge, senza regola, senza tatto. La libertà d’espressione, come la libertà tout-court, implica padronanza di sé e considerazione per l’altro. Anche la satira ha i suoi limiti. E la blasfemia non è il metodo più sottile ed efficace per rendere odiosi il fanatismo e la barbarie».
Marc Fumaroli




*"La Repubblica", 21.3.2015.


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22 maggio 2013

Verso il mondo nuovo, sempre avanti

"[...] Quello che sta succedendo, messo in forma corretta, è che la cultura umana continua il suo percorso verso un accesso più facile e veloce alla conoscenza. È già accaduto molte altre volte nella Storia. E ancora una volta siamo noi a doverci adeguare, a imparare a navigare nelle nuove regole di una cultura che funziona in modo diverso."
 
Giuseppe Granieri


*"La Stampa", 21.5.2013 (blog Terza pagina).


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07 ottobre 2011

Steve Jobs

[... ] Il Reed College all’epoca offriva probabilmente la migliore formazione del Paese in calligrafia. In tutto il campus ogni poster, ogni etichetta, ogni cartello era scritto a mano con grafie bellissime. Dato che avevo mollato i corsi ufficiali, decisi che avrei seguito il corso di calligrafia per imparare a scrivere così. Fu lì che imparai i caratteri serif e sans serif, la differenza tra gli spazi che dividono le differenti combinazioni di lettere, quello che rende eccezionale un’eccezionale stampa tipografica. Era bello, storico, artistico e raffinato in un modo che la scienza non è in grado di offrire e io ne ero completamente affascinato.[...] (Steve Jobs, 2005)

Colpisce davvero che la geniale avventura umana di Steve Jobs sia partita da un corso di calligrafia, quando questa disciplina era già fuori moda. Che cosa c'è di più "formale" della calligrafia, che cosa ci può essere di più sostanziale nella calligrafia? La calligrafia è l'arte di saper fare bene, con precisione ogni tratto di penna, senza errori, senza sbavature con l'eleganza della leggerezza. Steve Jobs partendo dalla calligrafia scoprì Leon Battista Alberti e il Rinascimento italiano e da allora cercò e praticò la bellezza della perfezione, l'eccellenza in ogni cosa che si fa. Che lezione per noi che neppure sappiamo chi fosse Leon Battista Alberti ed aboliamo la storia dell'arte dal programmi del liceo. Che lezione per la nostra contemporaneità, sempre impegnata a correre verso la mediocrità, a sottrarre bellezza la dove c'é. Il discorso di Jobs del 2005 agli studenti dell'Università di Stanford (che nella prospettiva  ricorda la metafora della cattedrale di S. Vito Praga di Vaclav Havel) è uno straordinario progetto di futuro, innestato sul cammino lungo della storia perché nella bella calligrafia "...non è possibile unire i puntini guardando avanti; potete solo unirli guardandovi indietro. Dovete aver fiducia che, in qualche modo, nel futuro, i puntini si potranno unire".
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19 agosto 2011

Per una cittadinanza qualificata

"[…] Perché il cittadino - italiano, europeo, cosmopolita - sia consapevole dei suoi diritti e delle sue responsabilità e riconosca nella sinistra una forza motrice della democrazia (non un veicolo per percorrere la via al socialismo), occorre che i prodotti culturali forniti dagli intellettuali siano resi accessibili su un vasto mercato, alla portata di tutti i cittadini. Perciò un aspetto essenziale della rianimazione e del rinnovamento culturale, per la sinistra ma anche per tutte le forze politiche operanti nella democrazia, è la promozione e diffusione della cultura attraverso i mezzi di comunicazione di massa, i quali invece - a quel che mi capita di vedere sfogliando i giornali e accendendo la televisione - espongono a getto continuo violenza e barbarie e quando descrivono miserie, sofferenze, atrocità, sembrano farlo più per suscitare stupore e orrore e così attirare spettatori che non per promuovere senso di responsabilità e solidarietà. Insomma: disponiamo di una nuova formidabile tecnologia dell'informazione, componente ormai essenziale della nostra civiltà tecnologica, che potrebbe esser una straordinaria efficacissima risorsa per l'educazione di massa e la utilizziamo invece per diffondere esempi di gesta violente e barbare e addirittura istruzioni sul modo di imitarle. Così l'ammirazione e l'emulazione s'indirizzano a chi è bravo a sopraffare l'altro (magari uccidendolo), non ad aiutarlo. Inoltre, come ho già accennato (ma giova insistere), la simultaneità dell'informazione e della partecipazione diretta attraverso l'immagine e non soltanto la comunicazione verbale, su scala mondiale, fa sì che "cittadino del mondo" da metafora può dìvenire reaItà, può significare la dimensione mondiale dei diritti e dei doveri, dei concetti di solidarietà e responsabilità che sono fondanti per una cultura della sinistra.[...]".
Antonio Giolitti

*A.Giolitti, Lettere a Marta, Bologna, Il Mulino,  1992, pp. 240-241.
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11 aprile 2010

Una pioggia ininterrotta d’immagini

"[…] Viviamo sotto una pioggia ininterrotta d’immagini; i più potenti media non fanno che trasformare il mondo in immagini e moltiplicarlo attraverso una fantasmagoria di giochi di specchi: immagini che in gran parte sono prive della necessità interna che dovrebbe caratterizzare ogni immagine, come forma e come significato, come forza di imporsi all’attenzione, come ricchezza disignificati possibili. Gran parte di questa nuvola d’immagini si dissolve immediatamente come i sogni che non lasciano traccia nella memoria; ma non si dissolve una sensazione d’estraneità e di disagio.Ma forse l’inconsistenza non è nelle immagini o nel linguaggio soltanto: è nel mondo. La peste colpisce anche la vita delle persone e la storia delle nazioni, rende tutte le storie informi, casuali, confuse, senza principio né fine. Il mio disagio è per la perdita di forma che constato nella vita, e a cui cerco d’opporre l’unica difesa che riesco a concepire: un’idea della letteratura".
Italo Calvino

*da: I. Calvino, Lezioni americane.Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, pp. 57-59 (lezione sull'Esattezza).

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04 marzo 2010

Censura

La decisione di chiudere i programmi di approfondimento Rai è gravissima. Senza precedenti in Europa. È come se ci fosse paura che questi programmi svelino illusioni spesso spacciate per realtà”. Il miracolo de L'Aquila. Non è vero: L'Aquila muore. La crisi è finita. Non è vero: la crisi continua a mordere. Della mafia non si parla, la criminalità organizzata governa di fatto un terzo del Paese. Nascondere i problemi vuol dire aggravarli. Portarli alla luce, litigare sui problemi potrà dispiacere a chi governa ma è un aiuto a pensare oltre a essere la regola numero uno della democrazia: conoscere per deliberare".
Corrado Augias
Le Storie, Rai3
2 marzo 2010

25 ottobre 2009

Sguardi di futuro

"[...] non eravamo ancora così rotti al mestiere da non desiderare di vedere il nostro lavoro compiuto. Anche se conoscevamo i limiti di quella politica e di quelle idee, e ne eravamo insoddisfatti, c’era tuttavia nel giornale qualcosa d’un oggetto d’arte, ogni giorno diverso, che aveva in sé un valore, qualcosa della sorpresa che è nelle cose che si fanno con le mani: nelle case, nelle pitture, nei libri. Quando, a notte alta, vedevamo uscire i fogli dalla rotativa, come colombe bianche che prendono il volo, con un gran sbattere d’ali, dalla colombaia, ci pareva ancora di assistere, come la prima volta, a un piccolo miracolo quotidiano".
Carlo Levi, L'Orologio, Torino, Einaudi, 1950).
(a proposito della redazione romana del quotidiano "Italia libera", 1945).


*su L'Orologio di Carlo Levi cfr. Labirinti di lettura. La riforma intellettuale e morale degli italiani attraverso una o tre letture, a cura di PierLuigi Albini (Associazione Lupo nella steppa)

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04 ottobre 2009

Scenari di "libertà di stampa"

"[...] Governare col solo consenso della maggioranza, sia pure grandissima, non si può, perché occorre tenere a segno i dissidenti. Governare con la sola forza a lungo, neppure si può. Occorre dunque sapere se c’è il consenso, almeno implicito dei più. Perciò è utilissima una Camera (utile anche il referendum), indispensabile un’ampia libertà di stampa. Errore grande del secondo Impero di Francia, fu di toglierla quasi interamente. A che ha giovato allo zarismo russo di averla negata del tutto?
Attenti dunque di non cedere alla tentazione di limitarla notevolmente. Lasciate stare tutte le vanità di cui sono tipo i processi alla letteratura “immorale”, sovversiva, diretta ad ispirare “odio e disprezzo” del Governo, ecc. ecc. Lasciate gracchiare le cornacchie, ma siate inesorabili nel reprimere i fatti. Chi li vuole compiere sappia che la forza lo colpirà senza misericordia…e il più delle volte non si proverà neppure a compierli.
Vi sono grandi correnti di sentimenti che mai scompaiono, sebbene possano apparire più o meno alla superficie. Di questo genere sono la corrente della fede e quella dello scetticismo, dell’ideale e del materialismo, delle religioni positive e del libero pensiero (che è poi, anch’esso una religione). Si inganna chi crede di poterlo sopprimere. Sotto un’ideologia democratica scorreva la corrente del fascismo che dilagò poi alla superficie. Ora sotto di essa rimane la corrente avversa. Attenti a che, a sua volta, non dilaghi! Attenti a non darle forza con il volerla fermare del tutto!"
(Vilfredo Pareto, ottobre del 1923).


Questa citazione di Wilfredo Pareto del 1923 sembra una fotografia del nostro oggi. Le “cornacchie” gracchiano ovunque dall'una e dall'altra parte ma i FATTI restano sotto traccia. Se giovedì scorso Annozero avesse impostato tutta la trasmissione sui FATTI come li andava srotolando il reportage da Bari in cui l’inviato andava cercando i FATTI sollecitando risposte alle sue precise domande è probabile che quei 7 milioni di italiani che hanno visto la puntata di Rai 2 avrebbero capito che cosa veramente sia in gioco dal mese di aprile. Perché quei FATTI sono la “Notizia” da mettere in circolo per necessità democratica. Perché quei FATTI sono la vera cancrena che sta erodendo la nostra debole democrazia. Invece ancora una volta i FATTI, quelli davvero indecenti sono stati sommersi dallo spettacolo avvilente dell'incrocio delle parole urlate. Lo scandalo non era la escort in Tv, lo scandalo era la pratica delle tangentopoli consolidate, la malasanità che tutto avvolge per fame bulimica di danaro e di potere (medici che prescrivono inutili ma costosissime protesi a non malati), l'immoralità civile ed istituzionale che attraversa tutti gli ambiti della società, le donne degradate (ed ancor più quelle consapevoli di autodegradarsi) e la droga a montagne che entrano nei palazzi “giusti” per "oliare" le relazioni pubbliche ed orientare verso l'illecito, tutto predisposto per demolire ogni senso del convivere civile. Questi erano i FATTI, affossati nella palude del gossip e dalle cornacchie gracchianti dei talk show. E ancora una volta l'informazione ha perso.
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08 aprile 2009

Invenzioni stupende

"Ma sopra tutte le invenzioni stupende, qual eminenza di mente fu quella di colui che s'immaginò di trovar modo di comunicare i suoi piú reconditi pensieri a qualsivoglia altra persona, benché distante per lunghissimo intervallo di luogo e di tempo? parlare con quelli che son nell'Indie, parlare a quelli che non sono ancora nati né saranno se non di qua a mille e dieci mila anni? e con qual facilità? con i vari accozzamenti di venti caratteruzzi sopra una carta."

Galileo Galilei, 1632

14 febbraio 2009

Eluana

«Eluana è diventata il personaggio che bisognava lanciare, è stata una congiura di tutta l’informazione. Hanno deciso di tenere accesa questa tragedia: una scelta cinica. Hanno inventato un corpo che non c’era più. E la Chiesa scatenata a fare la Chiesa. Cosa volete che dica la Chiesa? La vita è sacra».
Franco Zeffirelli,
"La Stampa", 14 febbraio 2009
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18 ottobre 2008

Telegiornale - 1961

Stando nel cerchio d'ombra
come selvaggi intorno al fuoco
bonariamente entra in famiglia
qualche immagine di sterminio.
Così ogni sera si teorizza
la violenza della storia.
Nelo Risi, 1961
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07 ottobre 2008

La civiltà dei barbari


C'è un cambiamento in atto che non è solo culturale, ma antropologico e genetico e che può produrre un'umanità radicalmente nuova, diversa dalla nostra conversazione tra Claudio Magris e Alessandro Baricco

Claudio Magris: Nietzsche ha descritto con genialità l'avvento di una società nichilista dove tutto è interscambiabile come monetaDurante la campagna elettorale del 2001 mi sono accorto che non capivo più il mondo. Un manifesto di Forza Italia mostrava Berlusconi in maglione, con la scritta «Presidente operaio»; un'idea che sarebbe potuta venire in mente a me e ai miei amici per una goliardata che lo mettesse in ridicolo. Sarebbe stato altrettanto comico proclamare Veltroni o Prodi «Presidenti operai». Ma se qualcosa che per me era una caricatura satirica funzionava invece quale efficace propaganda, voleva dire che erano cambiate le regole del mondo, i metri di giudizio, i meccanismi della risata; mi trovavo a un tavolo di poker credendo che l'asso fosse la carta più alta e scoprivo che invece valeva meno del due di picche, come quando il protagonista dell'Uomo senza qualità di Musil, leggendo su un giornale di un «geniale» cavallo da corsa, capisce che le sue categorie mentali sono saltate, non afferrano e non valutano più le cose.Alessandro Baricco si addentra nel paesaggio di questa mutazione epocale con straordinaria acutezza; con quella profondità dissimulata in leggerezza che caratterizza il suo narrare. Forse Baricco è scrittore dell'Ottocento e del Duemila più che del Novecento, cui pure s'intitola un suo celebre libro. Si muove nel mondo saccheggiato dai barbari, come egli li chiama, con l'agilità di un'antilope in un territorio che non è proprio il suo, ma nel quale non si trova affatto a disagio. I barbari sono tali rispetto a quella che si considera — a noi che ci consideriamo — la civiltà, la quale si sente devastata nei suoi valori essenziali: la durata, l'autenticità, la profondità, la continuità, la ricerca del senso della vita e dell'arte, l'esigenza di assoluti, la verità, la grande forma epica, la logica consueta, ogni gerarchia d'importanza tra i fenomeni. In luogo di tutto questo trionfano la superficie, l'effimero, l'artificio, la spettacolarità, il successo quale unica misura del valore, l'uomo orizzontale che cerca l'esperienza in una girandola continuamente mutevole. Il vivere diventa un surfing, una navigazione veloce che salta da una cosa all'altra come da un tasto all'altro su Internet; l'esperienza è una traiettoria di sensazioni in cui Pulp Fiction e Disneyland valgono quanto Moby Dick e non lasciano il tempo di leggereMoby Dick.Nietzsche ha descritto con genialità unica l'avvento di questo nuovo uomo e della sua società nichilista, in cui tutto è interscambiabile con qualsiasi altra cosa, come la cartamoneta. Tutto ciò nasce già col romanticismo, che ha infranto ogni canone classico, anzi ogni canone; come ricorda Baricco, la prima esecuzione della Nona di Beethoven venne stroncata dai più seri critici musicali con termini analoghi a quelli con cui oggi si stroncano, accusandole di complicità con i gusti più bassi e volgari, tante performance artistiche o pseudoartistiche. Baricco cerca di descrivere — o, nei suoi romanzi, di raccontare — e soprattutto di capire il mondo, anziché deplorarlo, e sostiene giustamente, nel bellissimo finale de I barbari (Feltrinelli), che ogni identità e ogni valore si salvano non erigendo una muraglia contro la mutazione, bensì operando all'interno della mutazione che è comunque il prezzo, talora pesante, che si paga per un grande progresso, per la possibilità di accedere alla cultura data a masse prima iniquamente escluse e che non possono avere già acquisito una coerente signorilità «Se tutto va compreso — gli chiedo incontrandolo nella sua e un po' anche mia Revigliasco— non tutto va accettato. Tu stesso scrivi che occorre sapere cosa salvare del vecchio — che dunque non è tale — in questa totale trasformazione. Questo implica un giudizio, che non identifica dunque, come oggi si pretende, il valore col successo. Anche Il piccolo alpino vendeva un secolo fa tante più copie delle poesie di Saba, ma non per questo chi lo leggeva capiva meglio la vita. Se i giornali — come dici — non parlano di una tragedia in Africa finché non diventa gossip di veline o di sottosegretari, non è una buona ragione per non correggere questa informazione scalcagnata prima ancora che falsa. Del resto è quello che fanno tanti blog, in cui si trova spesso più «verità» che nei media tradizionali. I barbari ci aiutano quindi forse anche a combattere la barbarica identificazione del valore col successo».
Baricco — Certo, non tutto va accettato, hai ragione. Ma capire la mutazione, accettarla, è l'unico modo di conservare una possibilità di giudizio, di scelta. Se si riconosce alla nuova civiltà barbara uno statuto, appunto, di civiltà, allora diventa possibile discuterne i tratti più deboli, che sono molti. D'altronde io credo che la stessa barbarie abbia una certa coscienza dei suoi limiti, dei suoi passaggi rischiosi e potenzialmente autodistruttivi: in un certo senso sente il bisogno di vecchi maestri, ne ha una fame spasmodica: il fatto è che i vecchi maestri spesso non accettano di sedersi a un tavolo comune, e questo complica le cose.
Magris — Credo che non esista una contrapposizione fra i barbari e gli altri (noi?). Anche chi combatte molti aspetti «barbarici» non è patetiout, ma contribuisce alla trasformazione della realtà. Come nel Kim di Kipling, in cui tutti spingono la Ruota e ne sono schiacciati. Senza pathos della Fine né di un miracoloso e fatale Inizio. La civiltà absburgica, così esperta di invasioni barbariche, non le demonizzava né le enfatizzava; si limitava a dire: «È capitato che...».
Baricco — «È capitato che...», bellissimo. Quando ho pensato di scrivere I barbari avevo proprio uno stato d'animo di quel tipo… Sta capitando che… Non avevo in mente di raccontare un'apocalisse e nemmeno di annunciare qualche salvezza… volevo solo dire che stava succedendo qualcosa di geniale, e mi sembrava assurdo non prenderne atto. Forse ho letto troppi mitteleuropei da giovane e mi son trasformato in un von Trotta. Colpa tua, in un certo senso…
Magris — Tu indaghi splendidamente lo stretto rapporto che c'era tra profondità, rifuggita dai barbari, e fatica, sublimata e cupa moralità del lavoro e del dovere, che spesso conduce a sacrificio e a violenza. Ma la profondità non è necessariamente legata alla falsa etica del sacrificio. Immergersi e reimmergersi in un testo — in un amore, in un'amicizia, anziché toccarli di sfuggita come oggi i barbari — non vuol dire sfiancarsi a scavare come un forzato nella miniera, ma è come scendere ripetutamente in mare, scoprendo ogni volta nuove luci e colori, che arricchiscono quelle precedenti, o come fare all'amore tante volte con una persona amata, ogni volta più intensamente grazie alla libertà dell'accresciuta confidenza.
Baricco — La profondità, quello è un bel tema. Sai, scrivendo I barbari, ho dedicato molto tempo a capire e a descrivere la formidabile reinvenzione della superficialità che questa mutazione sta realizzando. E trovo fantastico ciò che siamo riusciti a fare, riscattando una categoria che ufficialmente era l'identificazione stessa del male, e restituendola alla gente come uno dei luoghi riservati al Senso. Ma mi rendo anche conto che questo non significa affatto demonizzare, automaticamente, la profondità. Tu giustamente parli di amicizia, di amore, e se tu guardi i giovani di oggi, quasi tutti tipici barbari, tu troverai lo stesso desiderio di profondità che potevamo avere noi. O se pensi alla loro domanda religiosa, ci trovi un'ansia di verticalità che non riesci bene a coniugare con la loro cultura del surfing. Alla fine sai cosa penso? Che la mutazione abbia smontato la dicotomia di superficiale e profondo: non sono più due categorie antitetiche: sono le due mosse di un unico movimento. Sono i due nomi di una stessa cosa. Non so, non so spiegarlo meglio, è una cosa che intuisco ma devo ancora pensare: ma credimi, il punto è quello. Ti dirò di più: la superficialità, nelle opere d'arte barbare, non è già più distinguibile come tale, non più di quanto tu possa distinguere cosa è ornamento in un quadro di Klimt, o pura aritmetica in una suite di Bach.
Magris — Pur più allergico di te — anche per ragioni d'età — ai barbari, vorrei difenderli da una loro immagine totalitaria. In Google vedo anche una — pur immensa — reticella simile a quelle con cui i bambini pescano in mare granchi e conchiglie. Non ho bisogno di Google per sapere qualcosa su Goethe, «linkatissimo», perché lo trovo altrettanto facilmente altrove, come in passato. Invece è Google che mi ha dato qualche notizia su un personaggio minimo di cui mi sto interessando, una nera africana del Cinquecento fatta schiava, divenuta dama di corte in Spagna, rapita dai Caraibi e poi loro regina. I blog correggono l'unilateralità barbarica dei media, che parlano solo di ciò di cui si parla e si sa. Non credo che Faulkner possa sparire, meglio allora se sparisse Google; credo che Google possa semmai aiutare a far riscoprire la sua grandezza a molti ignoranti. I barbari che hanno invaso l'impero romano ne sono stati gli eredi, hanno letto e diffuso i Vangeli...
Baricco — I barbari che hanno invaso l'impero romano erano spesso popolazioni già parzialmente romanizzate guidate da condottieri che venivano dalle file degli ufficiali dell'esercito imperiale...
Magris — La profondità, tu scrivi, è spesso fondamentalista, ha condotto, in nome di valori forti, a guerra e a distruzione. Non credo però che la folla barbarica, innocente, pacifista dei consumatori di videogame sia adatta a scongiurare la violenza; la vedo semmai disarmata e ingenua e dunque facile preda di persuasioni collettive che portano alla guerra. Nella tua straordinariaPostilla a Omero, Iliade tu dici — e concordo pienamente — che la guerra non si sconfigge con l'astratto pacifismo, ma con la creazione di un'altra bellezza, slegata da quella pur altissima ma sempre atroce del passato, come nell'Iliade. Non vedo però nei consumatori di Matrix questi costruttori di pace...
Baricco — Apparentemente è così. Ma ogni tanto mi chiedo, ad esempio, se una delle ragioni per cui, dopo le due Torri, non siamo precipitati in una vera e propria guerra di religione su vasta scala, non sia proprio la barbarie diffusa delle masse occidentali e cristiane: il loro nuovo sospetto per tutto ciò che si dà in forma mitica impedisce di aderire in modo viscerale ai possibili slogan guerrafondai che in passato, e per secoli, hanno fatto così larga breccia tra la gente.
Magris — I barbari di cui parliamo sono occidentali, anche se integrano elementi di altre culture. Oggi la cosiddetta globalizzazione mescola su scala planetaria altre culture, tradizioni, livelli sociali, quasi epoche diverse, e introduce pure valori di profondità e di fatica, Assoluti, fondamentalismi. Una nuova folla di esclusi si affaccia al mercato della civiltà; rispetto ad essi, i nostri barbari sembreranno presto aristocratici di un altro ancien régime. Certo, passerà del tempo prima che i clandestini d'ogni lingua e cultura levino veramente la voce, ma...
Baricco — È vero. Quando parliamo di Umanesimo o di Romanticismo parliamo di mutazioni che riguardavano un mondo piccolissimo (l'Europa, e nemmeno tutta), mentre oggi qualsiasi mutazione si deve confrontare con il mondo tutto, perché con il mondo tutto si trova a dialogare. Sarà un'avventura affascinante. Ci sono intere parti di mondo con cui facciamo affari che nemmeno sono mai passate dall'Illuminismo: non sarà che l'uomo che stiamo diventando riuscirà a dialogare meglio con loro che con i suoi vecchi sacerdoti del sapere?
Magris — C'è un'altra mutazione in atto — non solo culturale, bensì antropologica, genetica, biologica — che potrà generare un'umanità radicalmente diversa dalla nostra, padrona della propria corporeità, capace di orientare a piacere il proprio patrimonio genetico e di connettere i propri neuroni a circuiti elettronici artificiali, portatrice di una sessualità che non ha nulla a che fare con quella che, più o meno, è ancora la nostra. Certo, passerà comunque molto tempo prima che ciò possa avvenire. Ma se quest'uomo o il suo clone sarà veramente «altro» rispetto a noi, non avrà senso chiedersi se sarà orizzontale o profondo, come non avrebbe senso chiederselo per i nostri avi scimmieschi o magari roditori...
Baricco — Tu dici? Non so. A me pare una frontiera assai più vicina, un destino che appartiene all'uomo come lo conosciamo oggi, a quell'animale lì. Perché credo che una delle acquisizioni fondamentali dell'uomo moderno sia stata quella di immaginare e generare una continuità nel suo cammino, una continuità pressoché indistruttibile. Non importa quanto tempo ci vorrà ma quando connetteremo i nostri neuroni con circuiti elettronici artificiali ci sarà ancora, accanto a noi, un comodino e sul comodino un libro: magari sarà in titanio, ma sarà un libro. E quello che facciamo ogni giorno, oggi, magari senza neanche saperlo, è scegliere che libro sarà: riesci a immaginare un compito più alto, e divertente?
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28 luglio 2008

Ermanno Olmi: "elogio della pausa"


Intervista di Paolo d'Agostini
"La Repubblica", 28 luglio 2008


Ermanno Olmi (che riceverà a Venezia il Leone alla carriera) elogia, con generosità, il nuovo cinema italiano:
«Gomorra evoca la realtà à e come Roma città aperta chiude e apre un`epoca. Il divo rappresenta la realtà ed è come Fellini che è stato il nostro apice.
Tra le due cose c`è poi la documentazione della realtà. Un po`come quando al Venezia nel `61 ci trovammo insieme io con ll posto (evocazione), Pasolini con Accattone (rappresentazione) e Vittorio De Seta con Banditi a Orgosolo (documentazione).
Sta succedendo di nuovo».
Lei fa l`"elogio della pausa": prendersi il tempo di pensare, guardare, mettersi in ascolto.
«E la questione di cui più mi prendo cura. Ai giovani faccio sempre la stessa raccomandazione: prima di decidere di cosa volete parlare scoprite dentro di voi che cosa vi sta a cuore, sennò si parla giusto per parlare.
Alcuni anni fa scrissi un pezzo facendo l`elogio della lentezza, quella che ci consente di osservare secondo i ritmi della mente umana. Se tu parli veloce io sento che sei superficiale.
Ascolto i telegiornali - il televisore è diventato il caminetto dell`umanità, che invece di bruciare il ciocco profumato brucia la realtà, la consuma e la butta via-e ascolto i politici che parlano tutti a una velocità incomprensibile: ma che cosa state dicendo? Se vanno così di fretta sono i primi a non credere a quello che stanno dicendo. Quel mio articolo venne poi citato da Luca di Montezemolo. Pensi, il presidente della Ferrari».
Il simbolo della velocità.
«Già: ma quell`attimo di velocità quante pause ha prima e dopo, quanto soppesare ogni dettaglio? Del resto (e ridacchia) lo dicono anche le donne: più vai lento e più sono contente».
E lo stesso perla terza età della vita. Considerata non come ripiegamento ma come stagione fertile in cui ritrovare il tempo e l`attenzione.
«Dire che la vecchiaia è come tornare bambini significa ritrovare quella libertà che nell`innocenza infantile era un dato istintivo ma che la consapevolezza della terza età rende ragionato. Appena ti metti in ascolto ti accorgi che questa libertà serve a riudire la vita che hai fatto, riviverla e modificarla. Puoi ridare significato a una vita vissuta in fretta, in cui hai commesso egoismi di cui non andare fiero».
È arrivato un momento in cui la sua influenza è letteralmente esplosa, facendo di lei una specie di guru. Perché?
«Quello che sento di poter dire senza presunzione è che non ho mai cercato di imbrogliare nessuno. La mia soddisfazione è sempre stata porgermi agli altri con lealtà. Alla fine, quando certe distrazioni cominciano a smagliarsi, adesso che non siamo più così incantati dal possedere una motoretta o un frigorifero, smaltita l`euforia, la sera quando torni a casa dopo la sborna comincia riconsiderare tutto e ti accorgi che non è più il banditore della fiera che ti può incantare, ma è come ti ha salutato un amico, come ti è rimasta fedele una donna e come tu sei rimasto fedele a lei. Tutto questo coincide con il tramonto. E forse è il momento in cui coloro cui mi rivolgo mi ritengono degno di un po` di attenzione».
II suo buon senso contrasta con la lingua pubblica della politica. Nessuno però si azzarda a bollarla di qualunquismo. E possibile che stia assumendo un ruolo simile a quello che ebbe Pasolini?
«Lui era più grande di me di una decina d`anni. lo ero calato a Roma nel`53 e ci siamo conosciuti quasi subito tramite Parise. Feci un documentario sulla modernità del petrolchimico di Marghera, convinto che fosse bello e buono perché ci dicevano che avrebbe risolto tanti problemi.
Pasolini invece aveva giàpercepito i rischi. Dov'erano gli intellettuali di corte? Ai pochi che avevano capito li hanno solo sfruttati politicamente e mai ascoltati perciò che avevano intuito, anticipato. Era la classe dirigente ad essere arretrata. E così domandiamoci oggi chi sono i dirigenti, che cosa sanno, e quel poco che sanno perché lo nascondono».
Come ricorda il`68?
«È stato un legittimo sussulto di giovani. Una generazione figlia di quelli tornati dalla guerra. Che nel`68 avrà circa vent`anni. Non si fermano alle elementari o alle medie ma arrivano alla laurea, e si domandano cosa siamo venuti al mondo a fare in una società che tende a rimettere in atto un sistema che la guerra aveva abbattuto. Questi ragazzi mettono in atto una spintonata alla società, la loro ribellione. Che però è stata immediatamente classificata dagli avvoltoi opportunisti. L`errore è stato di fare del `68 un`ideologia. Alcuni si sono rassegnati e altri si sono incazzati. E quanta gente adulta ha avuto le sue pesanti responsabilità. Cattivi padri, cattivi maestri. La cultura ha tradito».
Rigoni Stern invece è stato un buon maestro?
«Anzitutto di se stesso, e così lo è stato per tutti. Non ha mai abbandonato una relazione filiale con la terra che lo ha generato. Parlava di ciò che conosceva. Oggi diciamo tutti "che maestro è stato". E stato. Ma non lo abbiamo riconosciuto quando ancora era».
Perché ha chiesto che sia Celentano a consegnarle il Leone d`oro alla carriera?
«Adriano è un maestro anche lui. Quando facevo Il tempo si è fermato, il mio primo film, avevo bisogno di un pezzo musicale che fosse uno stacco generazionale. Quando mi hanno detto` c`è un matto che va nelle balere di periferia" sono andato a cercarlo e ho capito che era quello che mi serviva per sottolineare la frattura tra il vecchio montanaro e il ragazzino figlio di operai. Fellini, dopo aver visto il film, venne da me e mi disse: da questo momento siamo fratelli. Era l`inizio della mia carriera. Alla fine della mia carriera chi vuoi che ritrovi se non i miei primi amici del cinema? Federico e Adriano».
Dal suo osservatorio del nord-il bergamasco per nascita, Milano per gli annidi lavoro, Asiago dove ha vissuto-che cosa pensa della Lega, del suo radicamento territoriale e sociale?
«La Lega fa leva su un fastidio, un risentimento. Cosa l`ha alimentato? Quando le popolazioni anche del nord vivevano in uno stato quasi miserabile, l`unico che ti poteva salvare era il Padreterno. Tutti giù a pregare. Oggi fa sorridere, ma quel pregare era un modo per darsi un aiuto, come il canto degli schiavi negri. Quella società povera con la trasformazione industriale è diventata una società non sempre ricca ma pervasa da un benessere generale. Che c`è stato, per un momento. Si è sbagliato a fare i conti, a livelli alti della politica e dell`economia. Oggi si è di fronte a un baratro di possibile nuova povertà, avendo oltretutto distrutto la terra. Qual è il risentimento, allora? Tutte queste persone che oggi votano Lega ma nell`infanzia hanno vissuto quella povertà e hanno conosciuto il beneficio di un benessere sia pur fasullo, se lo vedono messo in discussione dal dover dividere la ricchezza con quelli che ricchi ancora non sono. Chi erano i kapò nei campi di concentramento? Gli stessi prigionieri. Quanti contadini sono diventati piccoli imprenditori? La Lega ha sfruttato il loro risentimento. Quando parlano di sicurezza intendono che colui che potrebbe sottrarmi qualcosa va allontanato. Parlano di sicurezza come dei kapò, mettendo il filo spinato».
Guardandosi indietro ritiene che sia stato il cinema la cosa giusta da fare per lei? O la sua vita avrebbe potuto prendere strade diverse?
«Domanda che potrebbe mettermi in una crisi tale da invocare l`eutanasia. Ho avuto l`opportunità di fare cinema, l`ho fatto con gioia, se dovessi tornare indietro, così come risposerei Loredana credo che rifarei cinema. Ma ho avuto un Virgilio: mia nonna. Dava un senso di sicurezza con invenzioni e sacrifici che oggi nemmeno immaginiamo. Lavorava e cantava. Il suo lavoro conteneva la gioia come prima fonte di retribuzione. Certo, tirava a noi nipoti certe zoccolate, e ci beccava pure. Ma aveva ragione, lei aveva l`autorità per farlo. Dobbiamo essere riconoscenti a quelli che sono morti per noi e non giudicarli e condannarli». "Pasolini capì tutto prima di me Il posto La storia di un giovane, figlio di operai del l`hinterland milanese alla ricerca di un posto di lavoro. Bellissima storia minimalista del `61 Centochiodi Un professore di storia delle religioni, Raz Degan, inchioda i libri di una biblioteca al pavimento e va a vivere sulle rive del Po Se tu parli veloce mi accorgo che sei superficiale. Dico ai giovani: parlate di ciò che vi sta a cuore L`errore è stato di fare del`68 un`ideologia.
Cattivi padri, cattivi maestri. La cultura ha tradito Parla il grande regista che riceverà a Venezia il Leone alla carriera"
"Al tramonto della vita mi ascoltano perché non ho mai imbrogliato".

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19 giugno 2008

Stampa e Migranti

Il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana hanno stilato un Codice deontologico per la trattazione delle notizie che riguardano in mondo migrante, nel pieno rispetto dei diritti della Persona.


CARTA DI ROMA

PROTOCOLLO DEONTOLOGICO CONCERNENTE RICHIEDENTI ASILO, RIFUGIATI, VITTIME DELLA TRATTA E MIGRANTI

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, condividendo le preoccupazioni dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) circa l’informazione concernente rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta e migranti, richiamandosi ai dettati deontologici presenti nella Carta dei Doveri del giornalista - con particolare riguardo al dovere fondamentale di rispettare la persona e la sua dignità e di non discriminare nessuno per la razza, la religione, il sesso, le condizioni fisiche e mentali e le opinioni politiche - ed ai princìpi contenuti nelle norme nazionali ed internazionali sul tema; riconfermando la particolare tutela nei confronti dei minori così come stabilito dalla Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia e dai dettati deontologici della Carta di Treviso e del Vademecum aggiuntivo, invitano, in base al criterio deontologico fondamentale ‘del rispetto della verità sostanziale dei fatti osservati’ contenuto nell’articolo 2 della Legge istitutiva dell’Ordine, i giornalisti italiani a:

osservare la massima attenzione nel trattamento delle informazioni concernenti i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti nel territorio della Repubblica Italiana ed altrove e in particolare a:

a. Adottare termini giuridicamente appropriati sempre al fine di restituire al lettore ed all’utente la massima aderenza alla realtà dei fatti, evitando l’uso di termini impropri;

b. Evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie o distorte riguardo a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti. CNOG e FNSI richiamano l’attenzione di tutti i colleghi, e dei responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti, che possano suscitare allarmi ingiustificati, anche attraverso improprie associazioni di notizie, alle persone oggetto di notizia e servizio; e di riflesso alla credibilità della intera categoria dei giornalisti;

c. Tutelare i richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime della tratta ed i migranti che scelgono di parlare con i giornalisti, adottando quelle accortezze in merito all’identità ed all’immagine che non consentano l’identificazione della persona, onde evitare di esporla a ritorsioni contro la stessa e i familiari, tanto da parte di autorità del paese di origine, che di entità non statali o di organizzazioni criminali. Inoltre, va tenuto presente che chi proviene da contesti socioculturali diversi, nei quali il ruolo dei mezzi di informazione è limitato e circoscritto, può non conoscere le dinamiche mediatiche e non essere quindi in grado di valutare tutte le conseguenze dell’esposizione attraverso i media;

d. Interpellare, quando ciò sia possibile, esperti ed organizzazioni specializzate in materia, per poter fornire al pubblico l’informazione in un contesto chiaro e completo, che guardi anche alle cause dei fenomeni.

IMPEGNI DEI TRE SOGGETTI PROMOTORI

i. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, in collaborazione con i Consigli regionali dell’Ordine, le Associazioni regionali di Stampa e tutti gli altri organismi promotori della Carta, si propongono di inserire le problematiche relative a richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti tra gli argomenti trattati nelle attività di formazione dei giornalisti, dalle scuole di giornalismo ai seminari per i praticanti. Il CNOG e la FNSI si impegnano altresì a promuovere periodicamente seminari di studio sulla rappresentazione di richiedenti asilo, rifugiati, vittime di tratta e migranti nell’informazione, sia stampata che radiofonica e televisiva.

ii. Il CNOG e la FNSI, d’intesa con l’UNHCR, promuovono l’istituzione di un Osservatorio autonomo ed indipendente che, insieme con istituti universitari e di ricerca e con altri possibili soggetti titolari di responsabilità pubbliche e private in materia, monitorizzi periodicamente l’evoluzione del modo di fare informazione su richiedenti asilo, rifugiati, vittime di tratta, migranti e minoranze con lo scopo di:

a) fornire analisi qualitative e quantitative dell’immagine di richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti nei mezzi d’informazione italiani ad enti di ricerca ed istituti universitari italiani ed europei nonché alle agenzie dell’Unione Europea e del Consiglio d’Europa che si occupano di discriminazione, xenofobia ed intolleranza;

b) offrire materiale di riflessione e di confronto ai Consigli regionali dell’Ordine dei Giornalisti, ai responsabili ed agli operatori della comunicazione e dell’informazione ed agli esperti del settore sullo stato delle cose e sulle tendenze in atto.

iii. Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei Giornalisti e la Federazione Nazionale della Stampa Italiana si adopereranno per l’istituzione di premi speciali dedicati all’informazione sui richiedenti asilo, i rifugiati, le vittime di tratta ed i migranti, sulla scorta della positiva esperienza rappresentata da analoghe iniziative a livello europeo ed internazionale.

Il documento è stato elaborato recependo i suggerimenti dei membri del Comitato scientifico, composto da rappresentanti di: Ministero dell’Interno, Ministero della Solidarietà sociale, UNAR (Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali) / Presidenza del Consiglio – Dipartimento per le Pari Opportunità, Università La Sapienza e Roma III, giornalisti italiani e stranieri.

ALLEGATO: GLOSSARIO

- Un richiedente asilo è colui che è fuori dal proprio paese e presenta, in un altro stato, domanda di asilo per il riconoscimento dello status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951, o per ottenere altre forme di protezione internazionale. Fino al momento della decisione finale da parte delle autorità competenti, egli è un richiedente asilo ed ha diritto di soggiorno regolare nel paese di destinazione. Il richiedente asilo non è quindi assimilabile al migrante irregolare, anche se può giungere nel paese d’asilo senza documenti d’identità o in maniera irregolare, attraverso i cosiddetti ‘flussi migratori misti’, composti, cioè, sia da migranti irregolari che da potenziali rifugiati.

- Un rifugiato è colui al quale è stato riconosciuto lo status di rifugiato in base alla Convenzione di Ginevra del 1951 sui rifugiati, alla quale l’Italia ha aderito insieme ad altri 143 Paesi. Nell’articolo 1 della Convenzione il rifugiato viene definito come una persona che: ‘temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche, si trova fuori del paese di cui ha la cittadinanza, e non può o non vuole, a causa di tale timore, avvalersi della protezione di tale paese’. Lo status di rifugiato viene riconosciuto a chi può dimostrare una persecuzione individuale.

- Un beneficiario di protezione umanitaria è colui che - pur non rientrando nella definizione di ‘rifugiato’ ai sensi della Convenzione del 1951 poiché non sussiste una persecuzione individuale - necessita comunque di una forma di protezione in quanto, in caso di rimpatrio nel paese di origine, sarebbe in serio pericolo a causa di conflitti armati, violenze generalizzate e/o massicce violazioni dei diritti umani. In base alle direttive europee questo tipo di protezione viene definita ‘sussidiaria’. La maggior parte delle persone che sono riconosciute bisognose di protezione in Italia (oltre l’80% nel 2007) riceve un permesso di soggiorno per motivi umanitari anziché lo status di rifugiato.

- Una vittima della tratta è una persona che, a differenza dei migranti irregolari che si affidano di propria volontà ai trafficanti, non ha mai acconsentito ad essere condotta in un altro paese o, se lo ha fatto, l’aver dato il proprio consenso è stato reso nullo dalle azioni coercitive e/o ingannevoli dei trafficanti o dai maltrattamenti praticati o minacciati ai danni della vittima. Scopo della tratta è ottenere il controllo su di un’altra persona ai fini dello sfruttamento. Per ‘sfruttamento’ s’intendono lo sfruttamento della prostituzione o altre forme di sfruttamento sessuale, il lavoro forzato, la schiavitù o pratiche analoghe, l’asservimento o il prelievo degli organi.

- Un migrante/immigrato è colui che sceglie di lasciare volontariamente il proprio paese d’origine per cercare un lavoro e migliori condizioni economiche altrove. Contrariamente al rifugiato può far ritorno a casa in condizioni di sicurezza.

- Un migrante irregolare, comunemente definito come ‘clandestino’, è colui che a) ha fatto ingresso eludendo i controlli di frontiera; b) è entrato regolarmente nel paese di destinazione, ad esempio con un visto turistico, e vi è rimasto dopo la scadenza del visto d’ingresso (diventando un cosiddetto ‘overstayer’); o c) non ha lasciato il territorio del paese di destinazione a seguito di un provvedimento di allontanamento.





16 giugno 2008

Fattoidi

Mimmo Candito
Quante bugie e disinformazione per militarizzare la quotidianità
Quando si dà una notizia ma si dice il "non vero"

“La Stampa”, 15 giugno 2008

Quanto sta accadendo sul piano delle decisioni governative merita alcune segnalazioni, in relazione ai problemi della comunicazione. La prima segnalazione fa riferimenti ai numeri che il ministro della Giustizia aveva fornito per accreditare la necessità di un provvedimento urgente sulle intercettazioni. Erano numeri FALSI. Si diceva che ci sono un milione di intercettazioni, che siamo TUTTI intercettati; le intercettazioni sono in realtà su circa 80mila utenze (per ogni indagato ci sono spesso più utenze, dunque circa 30 mila intercettati) e l'80 per cento di queste riguarda casi di sospetta mafia e criminalità organizzata. Il numero reso pubblico dal ministro era basato sulla presunzione di circa 30 connessioni per utenza e di circa 100.000 utenze, arrivando così a 3 milioni di intercettati. Bell'esempio di disinfornazione. La seconda segnalazione fa riferimento alla percezione della insicurezza nel nostro paese provocata dalla natura criminale degli immigrati. Si dice che questa percezione è basata sulla realtà e dunque si approntano misure drammatiche e si mobilita l'esercito; poi si scopre che delle 16910 rapine compiute lo scorso anno in Italia ben 12527 sono state compiute da italiani e che i furti in casa sono in Italia ben inferiori (143.000) alla Gran Bretagna (209.000) e alla Francia (177.000). E infine, si mobilitano 2500 soldati per fare la ronda notturna con poliziotti e carabinieri, quando poliziotti carabinieri e finanziari sono circa 300.000, e davvero non si capisce cosa voglia dire quello scarno numero di soldat prestati alle operazioni di polizia, se non attivare e radicare il convicincimento che siamo davvero in una condizione di insicurezza totale, più o meno come la Colombia (nelle frasi del sindaco Chiamparino). Insomma si gioca sulle notizie, dandole in modo falso o parziale per giustificare una militarizzazione della vita del nostro paese. Che mi pare un passo gravissimo, compiuto appunto con la strumentalizzazione dei massmedia e dei processi della comunicazione.

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