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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".
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22 luglio 2025

Piazza Alimonda 2001

In quell'istante ben documentato da immagini e fotogrammi, furono in gioco due giovani quasi coetanei tra urla, sudore e caldo bollente e tanta violenza, da ore. La foto che ha fato il giro del mondo é lo scatto di un "duello" tra coetanei, due giovani che mai si erano incontrati, dentro e fuori di un mezzo della polizia in una situazione di assedio. Questione di terrore per chi era asserragliato dentro il mezzo, circondato da ogni finestrino ...una spranga che entra all'interno, un estintore che sta per essere lanciato contro il parabrezza ...e uno sparo che decide per sempre le sorti di quel "duello" fatto di istanti, ben documentati da una fotografia, decisiva per la dinamica di quel che accadde quel pomeriggio in P.zza Alimonda. Se il "duello" avesse avuto la conclusione opposta ...chi e quanti avrebbero dedicato un pensiero, un fiore, una targa, una cerimonia pubblica per ricordare l'altra vita spezzata, l'Altro?

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02 aprile 2024

Promemoria per il 25 Aprile



"Dietro il milite delle Brigate nere più onesto, più in buonafede, più idealista, c'erano i rastrellamenti, le operazioni di sterminio, le camere di tortura, le deportazioni e l'Olocausto; dietro il partigiano più ignaro, più ladro, più spietato, c'era la lotta per una società pacifica e democratica, ragionevolmente giusta, se non proprio giusta in senso assoluto, chè di queste non ce ne sono"
Italo Calvino

Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno, 1947.

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07 aprile 2023

Lorenzo e Primo

 


Carlo Greppi merita gratitudine perché ha scelto di orientare la propria ricerca storica verso coloro che si sono ritrovati ad andare nella direzione "ostinata e contraria" del bene negli spazi infernali della guerra. E questa è la storia di Lorenzo Perrone, “uomo di poche parole che salvò Primo Levi", una storia di toccante fratellanza umana. E soprattutto leggendo queste pagine si avverte l'urgenza di rileggere ogni libro di Primo Levi.
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03 febbraio 2023

La Memoria è vita

 LA MEMORIA È VITA

di Francesco M. Cataluccio
"Ci siamo soffermati troppo sulla morte, e così il ricordo si affievolisce. Dobbiamo tornare a un lavoro ostinato di ricerca e ricostruzione, e perfino a ridere, come con Polanski e Horowitz. La forza di una palla di neve
La settimana scorsa nella regione di Cracovia ha nevicato abbondantemente. Il complesso museale del campo di sterminio di Auschwitz-Birchenau era tutto coperto da uno spesso manto di neve. Un silenzio ancora più irreale avvolgeva tutto, rotto soltanto dal gracchiare di numerose e panciute cornacchie saltellanti. Come sempre in queste settimane c’erano in visita molti di studenti, soprattutto italiani: preparati, attenti e motivati, seguiti da bravi insegnanti. Un piccolo gruppo di ragazzi però ha preso a tirarsi palle di neve. Sono stati, giustamente, severamente redarguiti dalle guide polacche: “Sarebbe come giocaste a pallone tra le lapidi di un vostro cimitero!”. In un vecchio film del regista polacco Andrzej Wajda, “Paesaggio dopo la battaglia” (1970), tratto dal racconto dello scrittore Tadeuscz Borowski “La battaglia di Grunwald” (trad. it. in: T.Borowski, “Da noi ad Auschwitz”, Mondadori, 2023), si vedono i prigionieri di un campo di concentramento in Germania occidentale, appena liberato dalle truppe americane, correre oltre le barriere di filo spinato e giocare in mezzo alla neve. Ma, per decisione degli americani, il campo di concentramento è stato trasformato in un campo profughi, e ai prigionieri non è ancora permesso di uscirne... In quel caso, alla fine seppur non definitiva del dramma della Shoah (i sopravvissuti continuarono per diversi anni ancora a essere vittime di linciaggi e violenze, e in seguito, fino a oggi, di volgari negazionismi e attacchi antisemiti), quel rotolarsi nella neve era la manifestazione della gioia per la libertà, del ritorno alla vita. Se si naviga in rete ci si accorge subito che su Auschwitz circolano non soltanto cretine tesi negazioniste ma anche fantasiose ipotesi paranoiche come quella che scambia una lunga vasca d’acqua in funzione antincendio, tra la prima e la seconda barriera di filo spinato, per “una piscina dove i prigionieri d’estate facevano il bagno”. Le guide polacche che accompagnano i visitatori sono molto preparate e parlano bene le lingue. Hanno l’imput di non battere troppo sull’aspetto emotivo di ciò che mostrano, ma dare molte informazioni di carattere tecnico: misure degli edifici, capienza delle camere a gas, numero di treni giornalieri in arrivo, funzionamento delle varie strutture del campo... Come mi ha spiegato uno di loro: “Le emozioni passano, la comprensione resta”. Ma la cosa più difficile con i giovani visitatori è convincerli a non farsi ovunque i selfie.
Il diffuso senso di morte di quei luoghi, dove milioni di persone furono stritolate e cancellate, fa dimenticare che essi avevano una vita. Per le strade della vicina Cracovia, si possono cogliere ancora delle tracce della vita della comunità ebraica e immaginare cosa accadesse nella piazza della macelleria rituale, sotto gli alberi della Via Larga (Szeroka), nelle casette dietro la barocca Sinagoga Kupa, o i bei palazzi ottocenteschi che costeggiano la via del Ponte (Mostowa). Ma è piuttosto difficile perché il quartiere ebraico Kazimierz si è molto trasformato negli ultimi trent’anni: pieno di locali e ristoranti falsoebraici e negozietti per turisti. Il contrasto tra questa paccottiglia e il campo di sterminio è stridente. Si rischia di scambiare come vera soltanto la morte. Perché Auschwitz, che soltanto dagli anni Ottanta si è trasformata in sinonimo della Shoah, trasmette veramente, pur nella sua struttura museale (un discorso assai diverso è l’immenso e più autentico campo di Birkenau) il senso più profondo e definitivo della morte. Anche se, ad esempio, Wlodek Goldkorn, nel suo libro “Il bambino nella neve” (Feltrinelli, 2016), scrive che “Auschiwitz sembra una fantasmagorica costruzione posticcia (...), un luogo postmoderno, inventato per rappresentare gli orrori del Novecento e per esserne il simbolo”.
Per la prima volta andai ad Auschwitz nell’aprile del 1980, con uno scassato autobus dell’Università di Varsavia, assieme a un gruppo di studenti di varie nazioni. C’erano anche un paio di tedeschi occidentali e un gruppetto di quelli della Ddr. I primi si sentirono subito male appena varcato il cancello con la scritta “Arbeit Macht Frei”. Quelli della Germania comunista seguirono scrupolosamente tutto l’itinerario, impassibili. Come ci spiegarono nel viaggio di ritorno: “I nazisti erano quelli poi rimasti all’Ovest”. La guida che ci accompagnò era un ex deportato che ogni tanto veniva scosso dai tremiti e gli si bloccava la voce. Fu lui che mi disse una frase che ho poi ritrovato nel libro “Ebrei. Un popolo in disaccordo”, (Cafoscarina/Gariwo, 2023) dello studioso israeliano dell’Olocausto Yehuda Bauer: “La storia del popolo ebraico non è la storia dell’antisemitismo”.
Auschwitz non dovrebbe più essere soltanto un’icona del Male, ma un prisma attraverso il quale vedere l’Europa e la sua storia: uno strumento per prepararsi ad agire nel mondo di oggi e di quello a venire. E invece Auschwitz intrappola gli ebrei nella morte: li identifica con il loro sterminio. Per questo si corre il rischio che la Memoria si affievolisca e la celebrazione del 27 gennaio divenga un rituale stanco. Soprattutto ai giovani bisogna parlare della vita, di coloro che coraggiosamente, senza essere né eroi né santi, si sono spesi per salvarla, come i Giusti, ricordati nei vari giardini, come quello sul Monte Stella a Milano. Gli alberi piantati in loro onore sono il simbolo della vita, un insegnamento che guarda al futuro perché i genocidi non accadano più.
Alcuni anni fa accadde un fatto che mi fece riflettere sulla necessità di cercare di non confondere, anche in un evento drammaticamente estremo come la Shoah, la morte con la vita. Crollò una delle librerie della mia stanza. Era il settore, accanto a quello dedicato alla Polonia, dove stanno i libri sulla storia e la cultura ebraica (le due scaffalature, per forza di cose, in più punti combaciano o si sovrappongono). Disponendo i libri in fila, di costa, sul pavimento del corridoio, per poterli collocare sui nuovi scaffali di metallo, notai che in quel settore, come negli altri della mia biblioteca, tutto stava assieme (letteratura, storia, geografia, filosofia, religione, arte, testimonianze, album fotografici). Ma sotto la categoria “ebraica” c’era una promiscuità particolarmente stridente. Per dirla senza troppo girarci attorno: nella mia libreria ci sono troppi libri sull’Olocausto e questi, mi pare, “soffocano” quelli di letteratura, poesia, arte, filosofia ebraica. Non è tanto una questione di numero di volumi, ma di gravità e tragicità degli argomenti. E’ come se i massacri mettessero in sordina tutto il resto. Ho avuto la sensazione di una sorta di tragica beffa: lo sterminio continua a gettare un’ombra funesta su tutto il resto. E’ quasi come se i distruttori imponessero la loro opera, attraverso le testimonianze e le ricostruzioni storiche, le spiegazioni e le interpretazioni filosofiche (tutte però abbastanza insoddisfacenti). La cultura e la storia ebraica, la bellezza e la vita, sono schiacciate sotto il peso di quelle vicende di odio e morte. Con il senno del poi tutto il bello del “prima” viene offuscato dalla tragedia del “poi”. Nell’interpretazione a posteriori si è arrivati persino a considerare i testi come “premonizioni”. E’ accaduto, ad esempio, a Franz Kafka e a Bruno Schulz le cui opere sono state lette, da alcuni, come “profezie” dell’Olocausto, schiacciando così i loro racconti sugli avvenimenti successivi. Mi sono quindi ostinato a cercare di separare i libri sulla vita e la bellezza da quelli sull’odio e la morte, anche se in molti casi è impossibile farlo, perché la luce e il buio stanno nello stesso volume (basti pensare ai romanzi dei due fratelli Singer). Questo capita soprattutto nelle autobiografie, dove il racconto dell’infanzia e la giovinezza è poi annichilito dalle storie dell’annientamento delle famiglie, degli amici, di interi quartieri e villaggi. Il ricordo del Male andrebbe, in qualche modo, separato dalle testimonianze del Bene e della Bellezza, del Pensiero, l’Ironia e l’Arte.
Nei Giorni della Memoria si parla soprattutto di Ricordo. “Ricorda cosa ti ha fatto Amalek”, ammonisce la Bibbia (Deut. 25:17-8), a proposito di coloro che attaccarono gli ebrei nel deserto. Il ricordo col tempo tende naturalmente ad affievolirsi, ma non si deve dimenticare: per rispetto delle vittime e anche di noi stessi, perché, come scrisse Primo Levi, esso ci serve a imparare a riconoscere nuovamente il Male, dai primi sintomi, qualora si ripresentasse (anche se, purtroppo, ad esempio, nel caso della ex Jugoslavia, o nella recente invasione dell’Ucraina, iniziata di fatto già nel 2014, purtroppo, non ne siamo stati capaci). Se la memoria oggi si affievolisce è perché ci si è soffermati solo sulla morte, e si è dimenticata la vita di chi è stato sterminato.
La Memoria spesso necessita, per essere rafforzata, di un ostinato lavoro di ricerca e riappropriazione del poco che è rimasto. Come ha fatto Bianca Stigter nel recente film documentario “Tre minuti”, dove ha ricostruito il destino tragico della comunità ebraica di Nasielsk (uno schtetl a una cinquantina di chilometri da Varsavia) attraverso un breve filmato amatoriale in 16 mm, girato nel 1938 da un americano di origine polacca tornato nel paese dei suoi avi, rinvenuto per caso in un armadio pochi anni fa e restaurato e conservato ora dalla “Survivors of the Shoah Visual History Foundation” (USC), istituita nel 1994 a Los Angeles da Steven Spielberg. Utilizzando i piccoli frammenti rimasti, un po’ come faceva Sherlock Holmes con gli indizi, ha tirato fuori i volti di centocinquanta persone, come in un’istallazione di Christian Boltanski, che ha ritrovato alcuni sopravvissuti o loro parenti.
Di Cracovia e del suo quartiere ebraico, dove tornano assieme dopo sessant’anni, il fotografo Ryszard Horowitz (1939) dice all’amico regista Roman Polanski (1933): “Sembra Disneyland!”. Il bellissimo film “Hometown. La strada dei ricordi”, dei registi polacchi Mateusz Kudla e Anna Kokoszka-Romer , fa rincontrare nella loro città natale questi due ebrei sopravvissuti. Entrambe le loro famiglie sono state testimoni della costruzione del ghetto e delle deportazioni nei campi di concentramento di Cracovia. A differenza dei suoi genitori (la madre è morta ad Auschwitz), Polanski è scampato all’esperienza della deportazione ed è stato nascosto e affidato a famiglie diverse. Coccolato dalla sua famiglia, Horowitz invece è stato deportato piccolissimo ad Auschwitz, venendone poi salvato (uno dei più giovani) dal giusto Oskar Schindler, motivo per cui lo si può intravedere in una rapidissima apparizione in “Schindler’s List” di Steven Spielberg. A fine anni Cinquanta sia Polanski sia Horowitz hanno lasciato la Polonia, trovando affermazione professionale negli Stati Uniti. I due, passeggiando per le strade della loro città natale, raccontano e mostrano ciò che è di per sé indicibile e non rappresentabile: l’odio razziale, la progressiva segregazione, la persecuzione, la schedatura, la lacerazione degli affetti, la condanna a morte mascherata da opportunità di lavoro. Ma soprattutto ridono. Una malinconica felicità che inizialmente sconcerta: come quando Polanski racconta sghignazzando il funerale di suo padre, proprio davanti alla sua tomba e poi dice che sicuramente anche lui dal cielo ne sarebbe stato contento. Quel padre che, come Polanski ricorda nelle sue memorie (“Roman Polanski”, Bompiani 1984), quand’era piccolo gli diceva: “Aspetta e vedrai. Fra cinquant’anni tutto ciò sarò dimenticato. E ricomincerà da capo”. La lezione che ci viene da questo film è che ridere non è dimenticare: è la rivincita della vita sulla morte.
Francesco M. Cataluccio

*La Memoria è vita, “il Foglio”, 2 febbraio 2023.

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22 maggio 2022

Le verità della memoria



"[...] Il fatto è che noi tutti crediamo di sapere e non sappiamo di credere. Crediamo alle versioni che meglio si accomodano alle convinzioni, ai nostri pregiudizi, a un senso comune a cui ci affidiamo per adesione ideologica, per appartenenza a un gruppo sociale, politico, etnico (o magari calcistico). E questo il meccanismo che consente alle cacce alle streghe di mobilitare volontari ignari di tutto ma convinti di conoscere la verità, quasi per indole. Ti dicono che è stato lui e tu accorri a linciarlo assieme a tutti gli altri. Lo fai spontaneamente, non te lo ordinano, non ti costringono né ti persuadono: sorretto da un senso comune che non hai mai sottoposto a revisione tu ci credevi, si può dire, sin da prima. E una storia antica, antica quanto le società umane. E la storia degli ostracismi, dei sacrifici umani, delle segregazioni, degli idoli della tribù."
Stefano Bartezzaghi 

*La verità della memoria, "la Repubblica", 22.5.2022, p. 28.
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15 maggio 2022

La rete degli incontri

"Noi esseri umani viviamo di emozioni e pensieri. Ce li scambiamo quando siamo nello stesso luogo e nello stesso tempo, parlandoci, guardandoci negli occhi, sfiorandoci la pelle. Ci nutriamo di questa rete di incontri e scambi, anzi siamo questa rete di incontri e scambi. Ma in realtà non abbiamo bisogno di essere nello stesso luogo e nello stesso tempo, per questi scambi. Pensieri e emozioni che ci legano gli uni agli altri non hanno difficoltà ad attraversare mari e decenni, talvolta perfino secoli. Legati a esili fogli di carta oppure danzanti fra i microchip di un computer. Siamo parte di una rete che va molto al di là dei pochi giorni della nostra vita, dei pochi metri quadrati dove muoviamo i nostri passi". -
Carlo Rovelli

*C. Rovelli, L’ordine del tempo, Adelphi,  Milano, 2017, p. 106.

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24 aprile 2022

Letture per il 25 Aprile

"Ada, Frida, Silvia e Bianca erano donne singolari, ma non erano le uniche. Tra il 1943 e il 1945 in tutta l’Italia occupata le donne insorsero a migliaia, per unirsi alla Resistenza e combattere per la liberazione del loro paese. A renderle straordinarie era il fatto che l’Italia fascista, sotto il ventennio del governo Mussolini, le aveva trasformate in ombre: non avevano diritti, né voce, né uguaglianza, nessuna possibilità di esprimersi né riguardo alla propria vita né in merito al governo del paese. Che avessero trovato il coraggio, la determinazione e l’altruismo per lottare e spesso subire arresti, torture, violenze ed esecuzioni: fu questo a renderle davvero eccezionali. Al di fuori dell’Italia il loro contributo all’esito della guerra è quasi sconosciuto, ma la loro storia merita di essere raccontata".
Caroline Moorehead

*Caroline Moorehead, La casa in montagna. Storia di quattro partigiane, Bollati & Boringhieri, 2020, pp. 424.

Il libro ricostruisce la storia di Ada Gobetti, Bianca Guidetti Serra, Frida Malan e Silvia Pons e del loro contributo alla Resistenza fino a giorni straordinari della Liberazione di Torino.
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22 aprile 2022

Letture per il 25 Aprile -

[Firenze, Febbraio 1944]

"In questo deserto che era Firenze, come punti di luce reconditi tra le sue mura, si accendevano i fuochi della resistenza. Forse in quella casa davanti a cui ora passa, e si arresta, una pattuglia, c’è una tipografia clandestina, o qualcuno verga un volantino, o un fabbro prepara i chiodi a tre punte, un chimico le miscele esplosive. Quell’uomo che zoppica, con l’aria smunta, le scarpe scalcagnate, ha in tasca un foglio ciclostilato, quell’altro una pistola o una bomba. La ragazza ben vestita nasconde nella borsetta un messaggio da recapitare, l’operaio che esce dalla fabbrica si affretta a una riunione. Persino questo ragazzo coi pantaloni corti, che fischietta sul Lungarno spingendo un triciclo, entro la cassa di bottiglie vuote può avere un cliché o una colonna di piombo dei nostri giornali, e quell’altro che si trascina a fatica un sacco di stracci, amorosamente avvolta nel mezzo del mucchio forse ha un’arma che deve portare a un amico, che penserà poi, talvolta in una lunga catena, a farla arrivare in montagna. Di questa vita elementare e nuda vive Firenze; e noi in essa, con il nostro assillante pensiero, e talvolta la fierezza, altre la paura, la nostra fame, il nostro dolore; ma più di tutto la speranza, la certezza che stiamo facendo l’unica cosa che è giusto fare."
Mario Spinella

*Mario Spinella, Memorie della Resistenza, Mondadori, Milano,1974, p. 105 (seconda edizione Einaudi Torino, 1995).
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21 aprile 2022

Letture per il 25 Aprile

"Era per me un indiscutibile dovere, essendo Ufficiale, contribuire in qualche modo alla rinascita di quell'Esercito che, l'8 settembre 1943, avevo visto vergognosamente liquefarsi in poche ore. Speravo inoltre, per la mia giovanile inesperienza, che la partecipazione di truppe italiane alla guerra dei cosidetti Alleati, contro un esercito tedesco ancora molto forte ecombattivo, anche se avrebbe comportato sicuramente il sacrificio di tanta nostra gioventù - così come poi è avvenuto - avrebbe avuto comunque un qualche peso a nostro favore, quando l'Italia si sarebbe seduta al tavolo degli Angloamericani per trattare la pace."

Licio Salvagno "Tre anni della mia vita 1943 -1944 -1945", Firenze, 2000, pp. 46-47.

*Licio Salvagno (1920-2012) pubblicò per la prima volta questo 'diario' personale nel 1995 dedicandolo ai nipoti "con l'augurio che non abbiano mai a provare di persona cos'è la guerra".

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20 aprile 2022

Letture per il 25 Aprile

"[...] Per questo quando sento dire quest’altra insigne sciocchezza che con il ’45 è finito tutto, il fascismo e l’antifascismo, penso spontaneamente all’ombra di Antigone sempre proiettata su di noi, da prima che nascesse Mussolini, da prima che nascessero i partigiani del 1943-44, perché di fondo è proprio qui, da questo no irriducibile che nasce a un certo punto una ribellione che era contemporaneamente l’affermazione di valori più forti di Creonte. Questo ha vissuto la generazione della Resistenza. E siccome sulla Resistenza, sulla sua nascita, su quello che ha fatto, si è speso già troppo di retorica, dico subito che questo no non è stata una cosa uscita coi pennacchi delle cose gloriose che si vanno a fare sapendo che cosa sono e di quali valori si è portatori, ma è nata al modo che dice Piero Calamandrei, che ha un frase bellissima per significare il risveglio di una coscienza morale che viene per qualche via arcana e prodigiosa ma che arriva. Nel 1944, quando in Emilia la Resistenza diventa un fenomeno di massa, le persone preparate non erano molte, io ne ricordo due o tre ..."
Francesco Berti Arnoaldi

-"La Resistenza e il no di Antigone. Il Partigiano Checco” Francesco Berti Arnoaldi, 2019.
-Francesco Berti Arnoaldi, Viaggio con l'amico. Morte e Vita di Giuliano Benassi", Sellerio, Palermo, 1990.

*Francesco Berti Arnoaldi, (1826-2018) tenace custode della memoria della Resistenza a Bologna, è stato anche primo Presidente della Fondazione Fossoli.
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19 aprile 2022

Letture per il 25 Aprile

"La democrazia ha le sue leggi, che possono rimanere inerti; le mette in movimento solo l'esercizio che ne fa il popolo."
Franco Antonicelli

* F. Antonicelli, La pratica della libertà, Einaudi, Torino, 1976.

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08 aprile 2022

Chi non lo sa, si legga Dostoevskij

 "Va da se che è tutta una messinscena per spaventarlo, perchè non faccia storie e firmi la condanna con quel che c'è scritto. E lui firma, è ovvio... Chi ha avuto puntato contro un fucile sa che è difficile opporre resistenza. Chi non lo sa, si legga Dostoevskij."

Anna Politkovskaja


*A.Politkovskaja, La Russia di Putin, Adelphi, Milano, 2022.

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07 marzo 2022

8 Marzo: Mamme coraggiose

 Dalle Lettere di Etty Hillesum (Adelphi, 1990, p.136):

"E ora con quello stesso vestito se ne va in Polonia, tre giorni di viaggio con sette figli. Io parto con sette figli, e loro devono ben avere una mamma coraggiosa".

Etty Hillesum, alla fine di agosto 1943, descriveva in molte pagine la partenza del treno dall'Olanda verso la Polonia, il suo viaggio di deportata tra deportati "braccati a morte attraverso l'Europa". In questi giorni noi vediamo in tv e sui nostri cellulari immagini di donne, madri, con figli di ogni età, costrette a decidere di incamminarsi verso occidente per sfuggire ai bombardamenti, al massacro dell'Ucraina e non si può distogliere lo sguardo da questo fiume di donne e bambini che nel xxi secolo cerca la salvezza di stazione in stazione, sfinite e schiacciate senza più spazio attorno. Perchè questa è la guerra tutta nei pensieri e negli occhi di "Mamme coraggiose".

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10 febbraio 2022

Giorno del Ricordo

In questo giorno dedicato al ricordo delle Foibe dovremmo cercare di pensare che ogni guerra determina eventi di sicura ferocia dall'una e dall'altra parte proiettandosi anche nei giorni, mesi, anni del dopoguerra quando arriva il tempo della vendetta, che colpisce anche chi non aveva avuto ruoli attivi ma rappresentava 'il nemico'. Perché c'era stato un nemico, ben identificato nell'Italia del Regime Fascista, che aveva invaso la Jugoslavia compiendo azioni di esecrabile violenza contro le popolazioni locali (come confermato da tutte le fonti storiche italiane ed internazionali). Per questo per tutti il Giorno del Ricordo dovrebbe essere il Giorno della Riflessione su quel che stata quella guerra e quel che ogni guerra continuerà a essere ovunque essa si svolga.
Sarebbe anche doveroso non politicizzare la Storia sovrapponendo eventi non equivalenti. La persecuzione, la caccia e lo sterminio degli ebrei di tutta Europa che determinò la Shoà non potrà mai essere comparabile con la pur feroce vicenda delle foibe sulla quale ancora oggi l'opinione pubblica italiana tende a omettere o disconoscere la causa che innescò la vendetta degli jugoslavi, oramai schierati dalla parte dell'Europa filocomunista. Perché la seconda guerra mondiale è stata una guerra ad incastri con molti teatri di guerra, guerra militare e di civili, guerra di visioni del mondo in antitesi, guerra di ideologie contrapposte che sfociò nella 'Guerra fredda' in un mondo spaccato in due tronconi.
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24 dicembre 2021

15 dicembre 2021

Il cimitero ebraico di Praga

"Questo luogo è uno scrigno singolare della logica ribaltata: ciò che non è degno di attenzione e di coscienza per quel mondo di superficie appena là fuori, qui è il tesoro, il magma che scuote le viscere della città che si erge imperiosa nella sua superbia, vuota della terra che pure la sostiene, che la fa sussultare e che ne decreterà la fine".
Raul Gabriel


*Raul Gabriel, Nel cimitero ebraico di Praga, dove il tempo è totale, "Avvenire", 12.12.2021.
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13 dicembre 2021

Poesia

 Con cosa posso trattenerti?

Ti offro strade difficili,
tramonti disperati
la luna di squallide periferie.
Ti offro le amarezze di un uomo
che ha guardato a lungo la triste luna.
Ti offro i miei antenati,
i miei morti,
i fantasmi a cui i viventi hanno reso onore col marmo:
il padre di mio padre ucciso sulla frontiera
di Buenos Aires
due pallottole attraverso i suoi polmoni,
barbuto e morto,
avvolto dai soldati nella pelle di una mucca
il nonno di mia madre - appena ventiquattrenne -
a capo di trecento uomini in Perù,
ora fantasmi su cavalli svaniti.
Ti offro qualsiasi intuizione sia nei miei libri,
qualsiasi virilità o vita umana.
Ti offro la lealtà di un uomo
che non è mai stato leale.
Ti offro quel nocciolo di me stesso
che ho conservato, in qualche
modo - il centro del cuore che
non tratta con le parole, né coi
sogni e non è toccato dal tempo,
dalla gioia, dalle avversità.
Ti offro il ricordo di una
rosa gialla al tramonto,
anni prima che tu nascessi.
Ti offro spiegazioni di te stessa,
teorie su di te, autentiche e
sorprendenti notizie di te.
Ti posso dare la mia tristezza,
la mia oscurità, la fame del mio cuore
cerco di corromperti con l'incertezza,
il pericolo, la sconfitta.
Jorge Luis Borges


*Per Valentina nel giorno dei suoi 48 anni
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23 novembre 2021

23/11

"Vedere un mondo in un granello di sabbia e un cielo in un fiore selvatico,
tenere l’infinito nel cavo della mano e l’eternità in un’ora."
William Blake


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25 aprile 2021

25 Aprile 2021

"Vi ringrazio per avermi invitato, ma soprattutto per questa visita molto commovente. Si vede la sofferenza quotidiana di un popolo inerme, senza libertà, senza cibo, nel terrore, attraverso queste foto, questi manifesti, questi allarmi, queste minacce.
In questa ricorrenza, vi ringrazio veramente. Questo è un luogo simbolo della nostra memoria nazionale. Via Tasso evoca, anche nei ricordi familiari, l'orrore dell'occupazione nazista, la ferocia delle dittature.
Nel momento in cui anche i musei riaprono, mi auguro che, con le necessarie precauzioni, molti giovani abbiano l'opportunità di visitare queste stanze, di conoscere le storie di tanti combattenti per la libertà che qui sono stati torturati e uccisi, di capire fino in fondo il senso del loro sacrificio. E di comprendere che, senza il loro coraggio, oggi non avremmo le libertà e diritti di cui godiamo. Libertà e diritti che non sono conquistati per sempre e non sono barattabili con nulla. Sono più fragili di quanto non si pensi.
Non dobbiamo rivolgerci soltanto ai giovani ma a tutti i nostri concittadini. Perché il dovere della memoria riguarda tutti. Nessuno escluso.
Assistiamo oggi, spesso sgomenti, ai segni evidenti di una progressiva perdita della memoria collettiva dei fatti della Resistenza, sui valori della quale si fondano la Repubblica e la nostra Costituzione, e a troppi revisionismi riduttivi e fuorvianti. Ecco perché questa ricorrenza non deve invecchiare, non deve subire l'usura del tempo.
Nel conoscere in profondità la storia di quegli anni, del fascismo e dell'occupazione nazista, saremo più consapevoli dell'importanza dei valori repubblicani e di come sia essenziale difenderli ogni giorno.
Constatiamo inoltre, con preoccupazione, l’appannarsi dei confini che la Storia ha tracciato tra democrazie e regimi autoritari, qualche volta persino tra vittime e carnefici. Vediamo crescere il fascino perverso di autocrati e persecutori delle libertà civili, soprattutto quando si tratta di alimentare pregiudizi contro le minoranze etniche e religiose.
Il linguaggio d'odio, che sfocia spesso nel razzismo e nell'antisemitismo, contiene sempre i germi di potenziali azioni violente. Non va tollerato. È una mala pianta che genera consenso per chi calpesta libertà e diritti - quasi fosse un vendicatore di torti subiti - ma diffonde soprattutto il veleno dell'indifferenza e dell’apatia.
La senatrice Liliana Segre ha voluto che la scritta “Indifferenza” fosse messa all'ingresso del memoriale della Shoah di Milano per ricordarci che, insieme ai partigiani e combattenti per la libertà, vi furono molti che si voltarono dall'altra parte in cui - come dice lei - è più facile far finta di niente.
Nell’onorare la memoria di chi lottò per la libertà dobbiamo anche ricordarci che non fummo tutti, noi italiani, “brava gente”. Dobbiamo ricordare che non scegliere è immorale per usare le parole di Artom. Significa far morire, un'altra volta, chi mostrò coraggio davanti agli occupanti e ai loro alleati e sacrificò sé stesso per consentirci di vivere in un Paese democratico.
Ma è nella ricostruzione del presente, di un presente in cui il ricordo serve a dirci quel che non vogliamo ripetere, che avviene la riconciliazione. È la ricostruzione basata sulla fratellanza, sulla solidarietà, sull'amore, sulla giustizia che porta alla riconciliazione.
Queste stanze che un tempo videro orrori da domani vedranno visitatori - speriamo anche molti giovani visitatori - che vogliono conoscere la storia d'Italia.
È per questo che sono molto contento di celebrare con voi la Festa della Liberazione in un luogo simbolo, sì del periodo più nero vissuto dalla nostra capitale, ma anche simbolo oggi della rinascita dell'Italia intera. Vi ringrazio.
Mario Draghi, Presidente del Consiglio. 

*Cerimonia per il 25 Aprile  Via Tasso, Roma, 25.Aprile 2021.

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Torino libera

 Torino, 27 Aprile 1945, venerdì pomeriggio

" .. e ci vennero incontro. In un momento ci trovammo circondati, abbracciati da dieci, venti bracia. Tante voci ci chiedevano notizie, particolari, una qualsiasi parola di risposta. Decine di occhi scrutavano i nostri volti e le mamme alzavano da terra i loro piccoli perché pure loro ci vedessero. E i ragazzi sgusciavano da sotto le gambe dei più alti per poterci venire vicino, per toccarci! Era la gente nostra, quella che un giorno, all'inizio ci aveva chiesto di 'fare, come tanti, qualcosa per l'Italia', era il popolo semplice per il quale avevamo tanto rischiato, che ci correva incontro e ci diceva Grazie. Era il cuore della città amata, che ritornava a battere accanto al nostro e ci manifestava tutto il suo attaccamento, la riconoscenza."
Carlo Milan

Carlo Milan, "Per la libertà", Mursia, Milano, 1995, pp. 121-197.

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