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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".
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30 ottobre 2021

Costruire / Ricostruire

 "Costruire, significa collaborare con la terra, imprimere il segno dell’uomo su un paesaggio che ne resterà modificato per sempre; contribuire inoltre a quella lenta trasformazione che èla vita stessa delle città. Quanta cura, per escogitare la collocazione esatta di un ponte e d’una fontana, per dare a una strada di montagna la curva più economica che è al tempo stesso la più pura!  […] Costruire un porto, significa fecondare la bellezza d’un golfo. Fondare biblioteche, è come costruire ancora granai pubblici, ammassare riserve contro un inverno dello spirito che da molti indizi, mio malgrado, vedo venire.  
Ho ricostruito molto: e ricostruire significa collaborare con il tempo nel suo aspetto di “passato”, coglierne lo spirito o modificarlo, protenderlo, quasi, verso un più lungo avvenire; significa scoprire sotto le pietre il segreto delle sorgenti." 
Marguerite Yourcenar

*M. Yourcenar, Memorie di Adriano  (in Id, Opere. Romanzi e racconti, Classici Bompiani, Milano, 1986, p.404). 

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20 aprile 2019

Ubuntu

"Ma più spesso si dovrebbe andare in biblioteca per capire che non si è soli, per ascoltare le voci del mondo. Ubuntu, come si legge all’entrata di tanti luoghi africani: io sono perché noi siamo. Anche grazie ai libri."
Giulia Crivelli



*G. Crivelli, Viaggio nelle biblioteche contemporanee, dove i libri leggono la storia, Il Sole 24Ore, 15.4.2019.


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14 novembre 2018

Cecità

 

Ci stiamo schierando sull’orlo di una nuova era in cui gran parte delle nostre abitudini passate, nel pensiero come nella pratica, sono diventate fonte di cecità, e sono un ostacolo nel farci percepire le realtà della nostra situazione attuale. Scrittori, artisti e pensatori stanno ancora lottando in tutto il mondo per trovare i concetti e le idee che consentiranno di impegnarci ad affrontare gli eventi senza precedenti di questa nuova era. Ma scoprire nuovi modi di impegnarsi richiede tempo, che è esattamente ciò che non abbiamo”, 
Amitav Ghosh 


*Doppiozero.com, 24.5.2017.

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25 maggio 2017

In libreria


Lizzie Doron
Cinecittà
Giuntina, Firenze, 2017, pp. 220.

Il dizionario definisce l’amicizia «vivo e vicendevole affetto fra due persone, ispirato in genere da affinità di sentimenti e da reciproca stima». Ma possono essere amici una scrittrice di Tel Aviv, benestante, figlia di sopravvissuti alla Shoah, e un palestinese sognatore, angosciato dalla pena quotidiana del vivere sotto occupazione? Con l’aiuto di pillole, cioccolata, perseveranza, compassione e molta pazienza Lizzie e Nadim riescono a intessere un rapporto, a scardinare la diffidenza e a compiere lo sforzo più grande: immedesimarsi nell’altro. Ad accompagnarli rimane tuttavia un punto interrogativo: riusciranno anche a sconfiggere i pregiudizi della propria gente? Cinecittà è una testimonianza coraggiosa che racconta il conflitto e i rapporti tra israeliani e palestinesi da un’angolatura del tutto inedita, frutto di esperienze realmente vissute. Un testo che suggerisce al lettore profonde riflessioni sul tema del dialogo, tra amare disillusioni e improvvise speranze.
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04 gennaio 2016

La Resistenza perfetta

Giovanni De Luna
La Resistenza perfetta
Feltrinelli, Milano, 2015, 256 pp.


"[...] Nel settantesimo anniversario della Liberazione, Giovanni De Luna ha voluto mettere di nuovo a punto un’immagine della Resistenza che si stava offuscando. Con grande efficacia, De Luna ha scelto una storia, un luogo, alcuni personaggi: un castello in Piemonte, una famiglia nobile che decide di aiutare i partigiani, la figlia più giovane, Leletta d’Isola, che annota sul suo diario quei mesi terribili ma anche meravigliosi in cui comunisti e monarchici, aristocratici e contadini, ragazzi alle prime armi e ufficiali dell’ex esercito regio lottarono, morirono, uccisero per salvare la loro patria, la loro libertà, il futuro di una nazione intera. Mesi in cui, tra il cortile della sua villa di famiglia e le montagne tutt’attorno, si formò veramente quell’unità che diede origine al mito della Resistenza. Certo, quell’unità e quella tensione ideale furono di breve durata, e a partire dal 25 aprile del 1945 ognuno avrebbe percorso la sua strada. Ma per Leletta, e per tantissimi italiani, restò sempre nella memoria il ricordo di una “Resistenza perfetta”, non come ideale irraggiungibile, ma come concreta realizzazione, capace di salvare la patria.[...]".

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03 ottobre 2012

La dolce Maria

"[...] Finché vivi sei immortale perché aperto alla vita dei vivi. Una presenza calorosa, un appello all'azione, alla speranza, al sorriso anche di fronte alla sventura, una ragione per credere, credere a dispetto dei fallimenti e dei tradimenti, credere nell'umanità dell'altro, è questo che si chiama amicizia."
Elie Wiesel



Nell'ultimo libro di Wiesel si nota in tutta evidenza la sequenza di espressioni delicate riservate al personaggio "la dolce Maria", parole  speciali scelte nel dizionario della bontà del cuore (pp. 93-100). E nei pensieri di chi legge  "la dolce Maria" si affianca a "nonna Teta Lerner",  la "grassa, rabbiosa" nonna di Gad Lerner, che nelle ultime pagine di Scintille si rivela come la donna della salvezza, quasi a ricordarci che non esiste il normotipo della "bontà del cuore" perché "l'umanità dell'altro" ci sorprende nel modo più inatteso.


*E. Wiesel, Le due facce dell'innocente, Garzanti, 2012, p. 134.
Gad Lerner, Scintille. Una storia di anime vagabonde, Feltrinelli, 2009, pp. 215-220.
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09 agosto 2012

Memoria

"C'era come la sensazione che mentre gli uomini vanno e vengono, nascono e muoiono, i libri invece godono di eternità. Quand'ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro: perché le persone le si può uccidere come formiche. Anche uno scrittore, non è difficile ucciderlo. Mentre un libro, quand'anche lo si distrugga con metodo, è probabile che un esemplare comunque si salvi e preservi la sua vita di scaffale, una vita eterna, muta, su un ripiano dimenticato in qualche sperduta biblioteca a Reykjavik, Valladolid, Vancouver."
Amos Oz

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25 giugno 2009

Libri e lettori


"Siamo abituati a celebrare gli scrittori e la loro libertà di espressione, e quando in molti paesi i loro diritti vengono minacciati o addirittura negati c’è sempre qualcuno che protesta e dà voce alla propria indignazione. E tuttavia voglio chiedervi: che ne è dei milioni di lettori di tutto il mondo, e del loro diritto di immaginare e realizzare il tipo di vita che desiderano vivere E della libertà di leggere i libri che vogliono E del diritto di esprimere le proprie emozioni e reazioni a quei libri in pubblico, senza timore di censure. E i libri potrebbero sopravvivere senza lettori sempre nuovi? I libri, proprio come i fiori di serra, appassiscono se non vengono adeguatamente nutriti e curati, e hanno bisogno di essere letti e interpretati da lettori diversi e con punti di vista diversi, e che vivono in tempi e luoghi diversi" [...continua...]
Azar Nafisi
*estatto da Azar Nafisi, Atteggiamento sospetto: il potere sovversivo dell'immaginazione (Roma, 15 giugno 2004) dal sito dell'editore Adelphi (cliccare sul titolo).
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07 novembre 2008

Le città invisibili

Marco Belpoliti
La città come autoritratto

"La Stampa", 28 agosto 08



L'estate è la stagione in cui si è più disposti a leggere o a rileggere i grandi libri. La Stampa ha chiesto alle sue firme di raccontare ai lettori i capolavori della letteratura mondiale. Le città invisibili, il capolavoro di Italo Calvino, sono un rebus: un'immagine figurata composta di parole di ardua decifrazione. Opera imprendibile, misteriosa, dalla struttura complessa e articolata, viene pubblicata dal suo autore quando sta per varcare la soglia dei cinquant'anni. Nel 1972 Calvino vive a Parigi con moglie e figlia; s'è allontanato dall'Italia, e sembra passare di colpo da una giovinezza a lungo protratta ad una vecchiaia incipiente, saltando a piè pari l'ardua maturità, scoglio su cui si è infranto il suo primo maestro, Cesare Pavese. Pasolini, sciamano e poeta, l'ha capito: questa è l'opera di un giovane, paziente artigiano dall'umore cristallino, e insieme di un vecchio, uno «che ha visto passare la vita». Questa duplicità è la chiave più appropriata per leggere il libro: romanzo, piccolo poema in prosa, serie di racconti a tema, riflessioni filosofiche, storie fantastiche, e altro ancora. L'autore si scinde in due: Marco Polo, il narratore delle città, e Kublai Kan, il suo ascoltatore, il giovane e il vecchio. Si tratta di 55 brevi descrizioni di città, suddivise in 9 capitoli, cui s'aggiungono i dialoghi tra Marco Polo e Kublai, in corsivo, micro-cornici che servono a dare alle singole descrizioni un senso d'insieme: aprono e chiudono il libro e ne scandiscono le parti: le città e la memoria, e il desiderio, e i segni, e gli scambi, e gli occhi, e il nome, e i morti, e il cielo, ecc. Sono città da leggere, non da guardare, poiché la loro descrizione non si lascia mai scorgere per intero (Gianni Celati). Il titolo è parte stessa del fascino del libro, proviene da uno dei capitoli finali del libro di Lewis Mumford, La città nella storia, uscito in America nel 1961 e tradotto in italiano da Comunità. Certo, dietro tutto c'è Marco Polo e il suo Milione, il trattamento per un film proposto da Mario Monicelli; e anche le sculture sottili di Fausto Melotti, mostrate allo scrittore da Paolo Fossati; e poi le idee travasate da Celati, Carlo Ginzburg, Guido Neri e Enzo Melandri in una rivista mai nata, Alì Babà, pensata insieme a Calvino in quegli stessi anni; e ancora la lettura dell'utopia pulviscolare di Fourier e un altro libro: Françoise Choay, La città. Utopie e realtà; e poi molta altra roba ancora, conosciuta e sconosciuta. Ma soprattutto dietro al capolavoro di Calvino c'è il Sessantotto visto per le strade di Parigi, la fantasia al potere, l'utopia degli studenti del Maggio, quando i boulevard si sono riempiti di ragazzi e gli studi degli psicoanalisti svuotati, come Calvino stesso racconta a Celati, suo mentore della nuova stagione. All'inizio degli anni Settanta la letteratura sembra aver perso importanza come descrizione del mondo e sua spiegazione, come iniziazione alla vita stessa e insieme suo compendio e viatico. È stata sostituita, o almeno affiancata, dal cinema, dalle arti visive, dall'estetica, e poi dalla politica stessa ora al primo posto. Le città invisibili sono la risposta che il senex-puer Calvino fornisce al cambiamento in atto, il suo personale contributo poetico. Come afferma lo scrittore in una conferenza americana dello stesso periodo, la letteratura deve cercare di dare un nome a ciò che ancora non lo ha, deve scoprire nuovi modelli d'immaginazione e svolgere un lavoro mentale necessario ad ogni progetto d'azione politica, ma anche comunicare attraverso l'autore qualcosa che è collettivo. Detto altrimenti: questo meraviglioso poema in prosa è prima di tutto un libro politico. Sulla copertina della prima edizione c'è una pietra, un gigantesco masso granitico che galleggia nel cielo sopra il mare; in cima, un castello della medesima pietra verde-azzurra del masso volante. Si tratta di un quadro di Magritte, Il castello dei Pirenei, scelto da Calvino stesso per illustrare il libro, ovvero per fornire ai propri lettori la prima e unica immagine visibile delle città contenute nel volume. Tutto il resto è, come dice il titolo, assolutamente invisibile: non si può vedere, lo si può solo raccontare. La parola chiave del libro è leggerezza, diventata solo tredici anni dopo, con le Lezioni americane, l'emblema araldico dello scrittore, sua croce e delizia postuma. Lalange, la città sognata da Kublai Kan, ha il privilegio di crescere in leggerezza. È la leggerezza dello scrivere, la leggerezza del vivere, la leggerezza dell'immaginare: la leggerezza come tema politico e persino autobiografico. Uscire da un'età segnata dalla pesantezza degli «anni di ferro» del comunismo staliniano, cui Calvino ha aderito, e dal fallimento dei «socialismi reali», per pensare qualcosa di diverso da quel mondo coeso e compatto. E allo stesso tempo tentare di superare la propria pesantezza del vivere, proiettarsi in un universo di possibilità, spazio virtuale che la letteratura sa comporre con abilità e libertà di fronte al labirinto implacabile del vivere. Il tema della morte, del disfacimento, sono ben presenti in ciascuna delle città raccontate da Marco a Kublai. Il libro, costruito su uno schema geometrico ben strutturato e cadenzato, è il tentativo di opporre al disordine del mondo non un altro ordine, bensì un disordine possibile. Del resto, Le città invisibili sono esse stesse un labirinto: il lettore non sa mai bene dove si trova. Per Calvino queste città sono un catalogo di luoghi e vite virtuali, desiderate, temute, rifiutate, irraggiungibili, «che ruotano intorno all'unico spazio vuoto dell'unica vita che ci tocca per davvero di vivere e da cui ci sentiamo - ha scritto Domenico Scarpa - separati e lontani», «che non conosciamo e che spiamo dall'alto di una palafitta come fanno gli abitanti di Bauci». Ogni città è Calvino stesso, l'uomo e lo scrittore, un suo breve ritratto: come è stato nel passato o come immagina di essere stato, o come aspira ad essere in un futuro non troppo remoto. Alla fine, chiudendo il libro, di tutto questo enigmatico poemetto restano in mente solo poche parole, una frase, un rigo, qualcosa da rammentare, qualcosa di diverso per ciascuno, e per ciascuno unico.




*estratto dal sito del quotidiano "La Stampa".



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27 agosto 2008

I libri

Edoardo Boncinelli
Il valore dei libri. L’infinita ricerca della conoscenza
Che cosa cerco nei libri? Che cosa vi ho sempre cercato e ancora oggi vi vado cercando, se pure con lena sempre meno affannata? Me lo sono chiesto di recente, in previsione dell'ennesimo trasloco e davanti alla necessità di liberarmi di qualcuno dei miei libri, anche se di nessuno dei «miei» libri. Il libro mi dà innanzitutto un piacere fisico e non esiste ambiente nel quale mi sia trovato anche solo per qualche istante, nel quale non abbia «curiosato» fra i libri esistenti. Ma era soprattutto quando ero giovane che il libro rappresentava per me un bisogno vitale: vi cercavo la verità sul mondo e volevo completare la mia preparazione alla conduzione della mia vita.
Non so se capita a tutti, ma io nei libri cercavo la verità, la lezione globale, la capacità di seguire lo sviluppo dell'una o dell'altra delle avventure intellettuali che nel loro complesso mi avrebbero portato a conoscere il mondo. C'era l'avventura della fisica moderna, della matematica, della psicologia, della sociologia, dell'economia, dell'antropologia, dei classici greci e latini, della grande letteratura, della cibernetica, dell'arte, della musica, della storia, della filosofia, della critica letteraria, del teatro... Non saprei mettere una parola fine a questo elenco; di tutto ero affamato e assetato, tutto pensavo di poter capire e apprendere, tutto pensavo di ricordare. Ma a che scopo? Innanzitutto per soddisfare la mia curiosità, veramente insaziabile e, in secondo luogo, perché trascurare qualcosa poteva voler dire perdere l'occasione di capire meglio. Che cosa? La realtà, la vita, il senso della vita, l'intricata e multiforme necessità del tutto. Non esistevano, ricordo, vie di mezzo: o capire tutto o non capire. Ma pensavo veramente di poter capire tutto? Credo proprio di sì, ovviamente col tempo. Quando si è giovani, davanti a noi c'è un orizzonte infinito. Meglio, c'è il possibile indeterminato, c'è l'ignoto dietro l'angolo di ogni strada, c'è la sfida, ancora più che continenti e continenti da esplorare. Chiamati a dirlo, non lo si saprebbe specificare con precisione, perché nessuno ha mai vissuto due volte la propria vita, ma si ha una gran fede e una perenne aspettativa di saporite verità.
Chiaramente molte di queste cose me le potevano dare persone in carne e ossa oppure la scuola, ma non era lo stesso: una cosa che sta in un libro è tutta mia. Solo mia, e me la posso consultare quando voglio e tutte le volte che voglio. Il libro è conoscenza. E promessa di conoscenza.
Tutti questi aspetti riguardano l'ipotetico raggiungimento di un vago obiettivo. Obiettivo importantissimo per me, perché volevo saper tutto, almeno tutto ciò che mi interessava, che non era poco. Ma c'era sotto sotto anche il tema della preparazione. Volevo essere preparato al meglio per affrontare la vita, intellettuale certamente, ma non solo. Ricordo di aver dichiarato a voce alta — spesso le dichiarazioni a voce alta rivelano la verità più vera anche a colui o colei che parla — che volevo consegnare alla mia futura donna un uomo che valesse.
Valere, ecco il verbo che unifica tutto quello che ho detto! Il libro vale perche ti dà cose che valgono e perché ti fa valere come uomo.
Ma c'è anche di più del valere: c'è il vivere con senso. Il valere è solo una delle estrinsecazioni del vivere con senso. Vivere con senso è una sensazione di «tendere a» nella «pienezza di». Nessuno sa che cosa viene dopo l'«a» di tendere a, né che cosa viene dopo il «di» di pienezza di, ma è nella percezione vivente di tutto questo che si vive, e io consideravo i libri i compagni essenziali, e quasi i garanti, di questa percezione.
Niente poteva, e può, darmi l'eccitazione di aprire un libro nuovo, ma ci sono libri cui è bello o bellissimo ritornare. Molti degli intellettuali adulti che ho conosciuto non leggono le pubblicazioni classiche: affermano di «rileggerle ». Io non ho quasi mai veramente riletto un libro. Alla prima lettura ho succhiato, o creduto di succhiare, il succo vitale del libro e se lo riapro a distanza anche di anni è per ripercorre un cammino, è solo per piluccare alcune delle delizie del primitivo banchetto. Per questo esistono libri dai quali mi posso separare e libri dai quali non mi posso assolutamente separare, senza perdere senso.
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*Link al sito di Edoardo Boncinelli, scienziato

20 agosto 2008

Libri sempre vicini


Ci sono libri che si posseggono da vent’anni senza leggerli, che si tengono sempre vicini, che uno si porta con sé di città in città, di paese in paese, imballati con cura, anche se abbiamo pochissimo posto, e forse li sfogliamo al momento di toglierli dal baule; tuttavia ci guardiamo bene dal leggerne per intero anche una sola frase. Poi, dopo vent’anni, viene un momento in cui d’improvviso quasi per una fortissima coercizione, non si può fare a meno di leggere uno di questi libri d’un fiato, da capo a fondo: è come una rivelazione. Ora sappiamo perché lo abbiamo trattato con tante cerimonie. Doveva stare a lungo vicino a noi; doveva viaggiare; doveva occupare posto; doveva essere un peso; e adesso ha raggiunto lo scopo del suo viaggio, adesso si svela, adesso illumina i vent’anni trascorsi in cui è vissuto, muto, con noi. Non potrebbe dire tanto se per tutto quel tempo non fosse rimasto muto, e solo un idiota si azzarderebbe a credere che dentro ci siano state sempre le medesime cose.

Elias Canetti


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27 giugno 2008

Libri

Dalla Chiesa N. , Il giudice ragazzino, Torino, 1992.
Dolci, D. Poema umano, Torino, 1974
Langer A., Il viaggiatore leggero, Palermo, 1996

Levi P. , I sommersi e i salvati, Torino, 1986
Wiesel E. , La città della fortuna, Firenze, 1990

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