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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

17 novembre 2008

"Un metro di libri a tutti"

Bruno Gambarotta
E Zavattini decretò: un metro di libri a tutti
"La Stampa", 21 maggio 2008
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Ricordando Luigi Malerba. Fra le sue felici follie l'invenzione nel 1972 della Cooperativa Scrittori

«Un metro di libri!», esclama con il suo vocione Cesare Zavattini, «Chiederemo alle cooperative edilizie di prevedere per ogni appartamento uno scaffale di un metro!». Zavattini è un vulcano di idee che però gli vengono solo se deambula. Va avanti e indietro per il salotto della sua casa romana, in via sant'Angela Merici, con le pareti ricoperte di quadretti in formato cartolina. I presenti parlano a voce alta per allinearsi al volume della sua e Cesare (70 anni) si raccomanda: «Parliamo piano, di là c'è mia mamma che dorme». Riprende a spiegare: «Per ogni nuova casa ci sarà nel muro una nicchia per metterci un metro di libri e a riempire quel metro ci penseremo noi». Quel «noi» indica la Cooperativa Scrittori, casa editrice nata nel '72 dalla costola romana del Gruppo '63, come reazione alla prima grande concentrazione editoriale, con la Rizzoli che acquisiva marchi in difficoltà e dai libri si allargava ai periodici, alle cartiere, alle librerie, al cinema, fino ad arrivare nel 1974 al Corriere della Sera. Rievochiamo questa lontana avventura per rendere omaggio a Luigi Malerba, che ne fu uno degli ideatori e la sostenne con entusiasmo e generosità. Letta la notizia sull'Espresso, dissi ad Angelo Gugliemi, uno dei promotori, che mi sarebbe piaciuto essere della partita e lui mi portò con sé ad una delle prime riunioni a casa Malerba, in via di Tor Millina, a due passi da piazza Navona. Luigi mi accolse come un vecchio amico e io gliene sono sempre stato grato. Alfredo Giuliani, Nanni Balestrini, Elio Pagliarani, Walter Pedullà, con un giovane Paolo Mauri, futuro capo servizio cultura a Repubblica, erano i più assidui; completava la squadra Nico Garrone, segretario. In un esercito di generali, io ero l'unico sergente, felice e sconosciuto; scrivevo e riscrivevo i comunicati stampa e andavo alla posta a spedire i lunghi telegrammi che Zavattini mi dettava al telefono. Tornando a quel metro da riempire di libri, approvata l'idea, cominciò il fantastico gioco di cosa metterci e cosa escludere. Disco verde per la Costituzione italiana e per una grammatica di base, il progetto si arenò sulla Bibbia: un editore laico e progressista deve avere nel suo catalogo, per essere completo, una Bibbia? Non era un dilemma da poco in anni in cui un marchio editoriale, oggi diremmo un brand, era anche una bandiera. Non siamo stati gli unici ad avere questo problema. Anni dopo, raccogliendo testimonianze per un documentario televisivo, mi sono imbattuto nel fantasma di una Bibbia mai nata anche in casa Einaudi. Me ne parlarono Carlo Muscetta e Franco Lucentini che si era messo a studiare l'ebraico (una delle diciassette lingue che era arrivato a conoscere) per controllare il lavoro di un tale che aveva incantato l'editore con la promessa di una nuova rivoluzionaria versione, rivelatasi una sola. Altro tema rovente: per rappresentare la narrativa italiana del Novecento serviva un racconto lungo o un romanzo breve. In una pausa della discussione azzardai il nome di Carlo Cassola: per me Il taglio del bosco è un capolavoro. Zavattini oppose un rifiuto netto, senza appello: «Cassola no! Non se ne parla!». Piemontese trapiantato a Roma, non avevo perso il vizio della puntualità; la volta successiva, arrivato prima degli altri a casa di Cesare, gli chiesi il favore di spiegarmi le ragioni del suo veto. Mi disse che anni prima, non potendo essere presente a un convegno di scrittori e cineasti, aveva inviato un telegramma. Cassola, presidente di turno, aveva aperto la sessione dicendo: «Abbiamo qui un telegramma di Zavattini, ma siccome è molto lungo lo diamo per letto e lo alleghiamo agli atti». Cassola proscritto per reato di leso telegramma! Nell'arco di quattro o cinque anni la Cooperativa Scrittori ha pubblicato tra gli altri libri di Alberto Arbasino, Furio Colombo (Iper Television), Umberto Eco (Il Superuomo di massa) Elvio Fachinelli, Francesco Leonetti. Di un bellissimo libro di poesie di Antonio Porta che doveva intitolarsi Utopia del nomade e poi uscì con il titolo Week-end, posseggo il dattiloscritto originale e sarei lieto di consegnarlo a chi custodisce le carte del poeta. La grafica, affidata al grande Giuseppe Trevisani prematuramente scomparso, era di una rigorosa e accattivante bellezza. Trevisani ideò per le copertine una gabbia di color mattone, come quella disegnata da Bruno Munari per Einaudi, rossa per i Saggi, blu per la collana scientifica, viola per gli studi etnografici, verde per la cultura storica. A due terzi la pagina è tagliata da una sbarra orizzontale; il logo è una C grande e spessa dentro la quale è annidata una S come un tuorlo dentro un uovo. La prima uscita fu un'impresa ciclopica di cui andare giustamente orgogliosi: la pubblicazione, su proposta di Valerio Riva, del testo integrale della relazione della commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia. Tre volumi, in edizione reprint, per tremila pagine, corredate da tre introduzioni e dall'indice dei nomi, venduta al prezzo di costo, 12.500 lire. Come abbiamo scritto nella prefazione: «Le tremila pagine della relazione dovrebbero essere di dominio pubblico perché pubblicate negli atti parlamentari; in effetti ne sono state stampate copie in numero così limitato da non essere nemmeno sufficienti per i soli deputati e senatori, né si trovano in alcuna biblioteca al di fuori del Parlamento». Fu un gesto insieme legalitario ed eversivo, come dovrebbe sempre essere l'editoria militante. L'opera uscì nel maggio del 1973; dovevamo presentarla in anteprima a Rimini, al congresso della Lega delle Cooperative, ma il libro non era pronto, c'era solo il menabò con le pagine bianche, così portammo quello. Toccava a me, al sergente, l'onore e l'onere di percorrere il lungo corridoio centrale dell'immensa platea tenendo in braccio quei tre volumi che del libro avevano solo la copertina e consegnarli al presidente con un'accorata raccomandazione: «Mi raccomando, non li apra». La sussurrai, ma il microfono era aperto e la mia voce si diffuse in tutta la sala. Il punto di massima visibilità fu toccato al convegno di Orvieto dal 1° al 4 aprile 1976, sul tema Il lettore e lo scrittore. La Cooperativa Scrittori fu una bella utopia. Del resto l'aria di Roma è propizia alle utopie editoriali, è sufficiente ricordare Savelli, i Millelire della Stampa Alternativa di Marcello Baraghini, la Newton Compton, la Minimum Fax, queste ultime ancora vive e vegete. Ammettiamolo una buona volta: se uno è totalmente sano di mente non fa l'editore.
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