Antonio Balletto
Chi sa pensare non può vivere da suddito
“La Repubblica. Il Lavoro”, 19 ottobre 2007
"Chiudevo venerdì scorso così: «C' è, per tutti, un gran dovere di pensare, di pensare bene, di pensare insieme»... e, proprio, da qui riprendo e continuo: il gran dovere di pensare. A questo, tutti siamo chiamati; ognuno, anzitutto, per se stesso, per un po' di rispetto verso se stesso. Lo specchio ci aiuta a essere in ordine nell'aspetto esteriore: qualche specchio dove guardare la nostra mente, la nostra coscienza, dovremmo proprio possederlo o acquistarlo! Chi, poi, ha responsabilità verso altri, dovrà spesso fermarsi sul dovere di pensare. I genitori, anzitutto. Dovere di seminare affetti grandi, grandi ideali. Dovere di nutrire, di insegnare a stare in piedi (a stare umilmente, ma con fierezza, dinanzi alla vita), a camminare; dovere di donare cibo, panni e affetti veri. Poi, viene il dovere dell' istruzione e del comunicare il sapere. Un sapere che sia modo d'umanità, che sia uno strumento per vivere e sopravvivere. E qui, può annidarsi l' imbroglio, l' inganno. I genitori hanno l' obbligo di offrire l' istruzione. Lo stato o altre associazioni e istituzioni si incaricano di collaborare con i genitori, dietro piccolo o grande compenso, in questo dovere così fondamentale ed importante. Collaborare, non sostituirsi! Bisogna insistere e far chiarezza su questo punto. Non possiamo andare avanti con un numero, sempre maggiore, di genitori che demandano, alla responsabilità di maestri, di professori, questo compito, riservandosi, poi, il diritto, in modo anche protervo, di conte - stare ogni osservazione correttiva che, il maestro od il professore, fa al loro pupillo. Bisogna stare qualche momento con i figli. Far usare loro il cervello perché capiscano che, quel pane sulla tavola, è cosa santa e benedetta, che è dono di Qualcuno e frutto di lavoro, di impegno, di sacrificio pieno di affetto per loro. Fare usare il cervello, perché si accorgano che il mondo attorno a loro è abitato, non solo da giochi, macchinine e da quegli aggeggi dei quali non conosco nemmeno il nome, comprati e regalati «doverosamente» da servitorelli al loro servizio, ma che è abitato, soprattutto, da care persone capaci di riempirli di amore e di attenzioni: persone che aspettano uno sguardo buono e, magari, una carezza data senza secondi fini e smancerie. Insegnare ad adoperare il cervello, a distinguere che c' è il bene e c' è il male e che non si può sovrapporli o equipararli. Educare la mente a rendersi conto che è necessario e bello ubbidire ai genitori, senza continui capricci e stupidi piagnistei. Quei genitori che sorridono, beati e beoti, per le più stupide trovate dei loro «genietti incompresi», si ricordino che non fanno altro che diseducarli e renderli incapaci di ragionare correttamente. Parrà, il mio, un discorso molto astratto: se ci si impegna, tuttavia, può diventare concretissimo! Dopo i genitori, i collaboratori hanno un ruolo importante per educare testa e coscienza: questi, tuttavia, devono guardarsi bene dal sostituirsi ai genitori, alla famiglia. La collaborazione esige rispetto delle persone e rispetto dei ruoli; essa assume una funzione centrale che è, appunto, quella di educare al pensare. Vi è un pregiudizio di fondo che induce a persuadersi che il buon pensare si sviluppi di per se: un po' come nasce, cresce e sboccia un fiore di pesco, quando giungono i primi tepori di primavera. Purtroppo non è così: quanti avrebbero potuto imparare a ragionare, a riflettere, a cercare, a dialogare, se solo avessero incontrato una persona amica, che si fosse impegnata a costruire, o ricostruire, il giusto e retto pensare! Anche la mia Chiesa non deve dare, anzitutto, mandati e consegne di cui rispondere al vescovo, ai vescovi, alle varie gerarchie! Anzitutto, deve dedicarsi a stimolare e strutturare un bel pensare; deve dedicarsi a strutturare un cordiale pensare e farlo con gioia, con slancio, magari anche con un po' di trepidazione. Si, perché chi ha imparato a pensare onestamente, non vive da suddito delle varie autorità, ma da libero figlio della verità che sa, anche, ubbidire a tempo e luogo. Andatevi a leggere brani della lettera ai Galati e vedrete, quale può essere, su punti come questi, il messaggio liberatorio del cristianesimo primitivo! Ma quali sono i contenuti di questo pensare bene, pensare in grande? In questa domanda si annidano altri seri equivoci. Non si tratta, anzitutto, di proporre dei contenuti squadrati e precisi. Si tratta, invece, di insegnare ad aprire gli occhi: aprirli bene e guardare la realtà che ci si dona in lungo ed in largo, in alto ed in basso, nelle profondità abissali e nelle arcate dei cieli. Una sera mi trovai in ascensore; vi era una mamma, con un bimbo in braccio. Si spense improvvisamente la luce ed il bimbo esclamò: «mamma, ho visto il buio!». Quante volte, siamo chiamati, in tutti i settori della vita, a fermarci con gli occhi ben aperti dinanzi al buio! Qui, non riesco a trattenermi dal segnare un' annotazione: la mia fede, il mio credere, quanto mi hanno insegnato a pensare in questo modo. E, credetemi, la mia testa è fatta per le luminosità quasi geometriche: so, però, che gli occhi che guardano il buio, arrivano alla luce («per crucem ad lucem»). Così, il pensare forte e robusto, diviene un pensare in grande che intreccia il cielo con la terra, affinchè niente, nemmeno un granello di sabbia, non abbia riconosciuto il suo onore, la sua gloria. Il pensiero fraterno non comporta essere sempre in piazza: spesso, richiede il silenzio della propria stanza chiusa e, solo successivamente, si accresce ed acquista dignità, con la condivisione nell' Agorà. Tale, dovrebbe essere il buon pensare politico, di tutti i politici, in una civiltà aperta e democratica, fuori da tutte le misere conventicole. Ah!... le conventicole...!"
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L'editoriale è ora pubblicato nel volume di Antonio Balletto, Tra i tempi. Un anno di riflessioni settimanali tra l'umano e il divino, Reggio Emilia, Diabasis, 2009, pp. 72-75.
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