"[...] Nel 1945 avevo sette anni, e iniziava il miracolo della ricostruzione dopo la guerra. Sappiamo che in nome del progresso e della modernità si sono dette e fatte tante schiocchezze. Ma per la mia generazione la parola "progresso" ha significato davvero qualcosa. Ogni anno che passava ci separava dall'orrore della guerra e di giorno in giorno la nostra vita sembrava migliore. Crescere in quegli anni ci ha dato una fede ostinata nel futuro. Appartengo a una generazione di persone che ha mantenuto per tutta la vita un approccio sperimentale, esplorando campi diversi, profanando le frontiere tra le discipline, mescolando le carte, prendendo rischi e facendo errori. E questo in terreni diversi. Dal teatro alla pittura, dal cinema alla letteratura e alla musica. Senza mai parlare di cultura. Cultura è una parola fragile, che, come un fantasma, può svanire nel momento stesso in cui la evochi. Tutto ciò ti fa crescere istintivamente ottimista e ti fa credere nel futuro. È inevitabile. Ma nello stesso tempo ami il passato (essendo italiano, o meglio europeo, non puoi fare diversamente): e quindi vivi sospeso tra la gratitudine verso il passato e una grande passione per la sperimentazione, per l'esplorazione del futuro. Mi vengono in mente le parole di Francis Scott Fitzgerald che concludono "Il grande Gatsby": "Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato". È una splendida immagine, che rappresenta la condizione umana. Il passato è un rifugio sicuro. Il passato è una costante tentazione. E tuttavia il futuro è l'unico posto dove possiamo andare, se davvero dobbiamo andare da qualche parte."
Renzo Piano
*link al discorso in occasione della Cerimonia per l'assegnazione del Premio Architetto dell'anno, Casa Bianca 18 giugno 1998: Renzo Piano, Elogio della costruzione, "La Repubblica", 24 giugno 1998
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