[...] Non è necessario identificare il coraggio solo con gesti eroici o rivoluzionari. Penso piuttosto ad un modo di vita che come primo passo rinneghi l'illegalità, il fascino comodo dell'illegalità, a partire dalle piccole cose quotidiane: il non occupare un parcheggio riservato ai portatori di handicap, il dichiarare correttamente i propri guadagni, l'acquistare i programmi per il computer invece che scaricarli illegalmente, ecc... Si tratta, cioè, di rappresentare attraverso il rispetto delle regole, il fatto che «l'altro» ci sta a cuore. Nulla di eroico. Rispettare le norme, aderire alle stesse, rappresenta che ci sta a cuore la collettività: che, quindi, la riconosciamo nella sua supremazia; anche rispetto a ciascuno di noi. Messaggio, questo, che in certi contesti è certamente rivoluzionario e che deve essere fatto proprio da chi ambisce a rappresentare la collettività. Se in certe zone d'Italia lo Stato è ora pressoché assente, chi guarda da lontano non può sentirsi solo legittimato a criticare o predicare: deve dare l'esempio, poiché se il senso del valore Stato non parte da dove le istituzioni funzionano meglio è impossibile pensare che si sviluppi dove esse sono prive di autorità. Tanto più se non c'è neppure l'alibi della paura a condizionare i comportamenti, ma c'è solo la ricerca dell'affermazione personale.[...]
Umberto Ambrosoli*
Umberto Ambrosoli, Serve il coraggio dei piccoli gesti, "Corriere della Sera", 1 nov. 2009 [..leggi tutto]
* Umberto Ambrosoli, figlio di Giorgio Ambrosoli (v. Corrado Stajano, Un eroe borghese, Torino, Einaudi, 1991 e 2005.
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