"[...] Occorre anche riflettere su una dinamica storica inedita che da alcuni anni sta aprendo nuovi scenari nella penisola arabica: in quei Paesi in cui è vietata ai cristiani ogni attività missionaria perché ritenuta proselitismo sono ormai presenti più di tre milioni di cristiani giunti con i consistenti flussi migratori legati alle attività economiche e lavorative. Non si può più parlare quindi di sparute minoranze, ma di una presenza viva e operosa. C'è infine un ulteriore elemento che dovrebbe interpellare i cristiani dei Paesi dove si può serenamente professare il proprio credo: per gli avversari della fede cristiana - che sono alcuni estremisti e non l'insieme dei credenti musulmani - non vi è differenza tra siro-cattolici o copti ortodossi, tra protestanti americani o cattolici europei... per loro è chiara l'appartenenza a un'unica comunità religiosa, nella quale spariscono la differenze confessionali. È quanto i cristiani hanno già sperimentato in altre situazioni di oppressione e persecuzione: dai Gulag sovietici ai Lager nazisti, la sofferenza e il martirio subiti in nome di Cristo hanno portato a superare barriere che le rispettive istituzioni ecclesiali e le secolari divergenze teologiche avevano eretto. Quando i cristiani sono ricondotti al «caso serio» della loro fede - il testimoniare fino al dono della vita che si ha una ragione per vivere tanto forte da diventare anche ragione per morire - dimenticano quanto li divide e li contrappone e riscoprono l'essenziale che li unisce: il loro credere nella morte e resurrezione del loro Signore, il giusto che in un mondo ingiusto ha pagato con la vita la sua passione per la fraternità umana.[...]"
Enzo Bianchi
*Enzo Bianchi, Con i perseguitati non contro i persecutori, "La Stampa", 7 novembre 2010
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