"[...] Se fossi professore di storia e letteratura in una scuola della Repubblica, non avrei bisogno delle circolari ministeriali per cogliere al volo l’occasione offerta del 150˚ anniversario. Potrei cercare di raccontare le tappe di un processo che entusiasmò le classi liberali di tutta l’Europa. Potrei parlare di uomini e donne che ebbero in quegli anni una straordinaria notorietà internazionale ed esercitarono una grande influenza su tutti i movimenti risorgimentali. Potrei parlare dell’entusiasmo con cui Garibaldi fu accolto a Londra nel 1864, della venerazione suscitata dalla personalità e dagli scritti di Mazzini, dell’interesse con cui venivano lette le opere di Silvio Pellico, Antonio Rosmini, Vincenzo Gioberti, Massimo D’Azeglio, dell’attenzione con cui tutti i governi seguivano le magistrali mosse di Cavour. Non nasconderei naturalmente l’opposizione di Pio IX, la diffidenza degli Stati conservatori, l’ostilità dei gesuiti, l’incredulità di intellettuali come Pierre-Joseph Proudhon, autore di articoli contro l’unità italiana che sono stati recentemente pubblicati nella traduzione di Paola Giglio per l’editore Miraggi di Torino. Ma che cosa erano quelle opposizione e ostilità se non la dimostrazione dell’importanza di ciò che stava accadendo allora in Italia? Non occorre essere piemontesi o ammiratori dei Savoia per constatare che l’Unità d’Italia fu, come quella della Germania, un evento europeo destinato a modificare tutti gli equilibri politici del continente. Non occorre essere laici o, peggio, anticlericali, per ricordare che il compimento dell’Unità a Roma nel 1870 segnò la fine del potere temporale: un evento che persino la Chiesa, oggi, considera provvidenziale. Non è necessario essere nazionalista per osservare che nel 1861, dopo tre secoli di umiliazioni e declino, l’Italia ritornò finalmente in Europa."
Sergio Romano
estratto dal "Corriere della sera", 26 gennaio 2011.
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