Giuseppe Anzani
Fratelli nostri quei morti nel mare di casa
"Avvenire", 8 giugno 2008
E adesso che cosa si prova di fronte alla nuova tragedia, all’ennesima carretta del mare affondata nelle acque di Lampedusa, ai corpi di 13 morti certi e di non si sa quanti altri, all’incerto destino degli scampati? Adesso, dico, adesso che il tema della sicurezza ci va martellando le orecchie e s’impasta col tema dell’immigrazione come in corto circuito mentale, a disegnare la Grande Paura, l’immagine dell’Orda? Possibile che l’intelligenza dei fatti e delle cause non sappia partorire altro rimedio che preparare in futuro ai superstiti – come progetta un disegno di legge del ' pacchetto sicurezza' del 23 maggio – l’arresto in flagranza, il processo per direttissima e il carcere da 6 mesi a 4 anni? « È un monito, una deterrenza » , dicono alcuni politici che vogliono il pugno duro. E c’è chi profetizza un editto del Parlamento europeo, da cui attende man forte alla linea di tolleranza zero. Così si gestisce la sorte dei miserabili, così si caccia via la disperazione umana dei più sventurati. È brutale, ma risolve il problema, dicono. E invece no, invece è difficile dire persino se le fantasie della forza bruta siano più crudeli o più insipienti. I barconi, le carrette, i gommoni carichi di corpi ammassati, torneranno l’indomani a inseguire la rotta che incrocia il rischio di naufragio e di morte, finché per loro è la rotta ' della speranza'. Evacuati, internati, espulsi, rimpatriati, ancora le zattere rovesceranno nell’acqua il carico umano di vita rischiata, finché il vento che gonfia la vela si chiama disperazione. Le politiche di puro ' contrasto' sono improvvidenti se non fronteggiano le ragioni della spinta migratoria, e se non rimediano in radice le cause della scelta 'clandestina'. Il guasto infatti non è l’immigrazione, ma la clandestinità. Il fenomeno migratorio è antico quanto il mondo; la piaga è cosa diversa, la piaga è la clandestinità. Piaga per noi, tragedia per loro. Come non capire allora che il fuoco del problema è lì, che c’è una clandestinità coatta dalle strettoie dei flussi legali al limite dell’impraticabilità ( migliaia di badanti dovrebbero tornare a casa per chiedere il visto e poi, forse, tornare qui) e dall’altro c’è la condizione umana, o si dovrebbe dire disumana, della terra d’origine, dove lo stento economico fissato dal protezionismo dei Paesi ricchi, le pandemie devastanti e senza farmaci, le guerre nutrite dalle armi fornite da noi, le colpe dei satrapi locali, spingono i migranti a vender tutto, a pagare prezzi capestro ai passatori, a lasciare i familiari in ostaggio ai mercanti strozzini, a viver randagi pur di vivere. Sono anche gli infiniti volti della miseria, appena sfiorati dall’ennesima Conferenza Fao, a dar giusto nome a ciò che chiamiamo 'invasione' ed è invece fuga di 'migranti forzati'. Non è solo problema d’Italia, è problema d’Europa. Un mese fa il quotidiano spagnolo ' El Pais' parlava della teorica « irregolarità » in Europa di 8 milioni di persone, e diceva che 8 milioni di rimpatri forzati sarebbero « una deportazione da Medio Evo » . È sì necessaria una cultura delle regole, ma abbracciata alla cultura della vita. Dobbiamo capire che la migrazione si governa con intese multilaterali, con i Paesi di origine, con i Paesi di approdo; e che non ha senso cacciarli da casa nostra se non li aiutiamo in casa loro. Sfogo al dolore dei nuovi morti è di aiutare i vivi. Non chiameremo ' accoglienza' la sepoltura.
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