Pietro Citati
Fatemi il favore non datemi del tu
Fatemi il favore non datemi del tu
"La Repubblica", 30 agosto 2007
Tranne pochi moribondi, tutti gli italiani, oggi, si danno del tu. Dopo il 1945, il tu e il compagno dei comunisti enunciavano l´utopia definitiva, l´Eden, nel quale gli uomini sarebbero stati fratelli, e ogni differenza di ricchezza, popolo e professione sarebbe stata abolita. Miliardi di tu e di compagno vennero scambiati, molto spesso in perfetta buona fede. Ma nessuno ha conosciuto l´Eden; e mai, nell´Unione Sovietica e nei Paesi satelliti, il potere, l´arroganza, il disprezzo, la disuguaglianza avevano mostrato un volto così mostruoso. Il tu dei nostri giorni ha un carattere completamente diverso. Non so quando nacque. Forse cominciarono i medici a darsi del tu fra loro: li seguirono i giornalisti, gli scrittori, i professori universitari e, via via, le altre categorie sociali. Poi gli italiani continuarono ad affratellarsi: l´industriale diede del tu al suo operaio, il medico all´ingegnere, il professore universitario al giornalista, che prima disprezzava. Alla fine, questo fenomeno ha assunto, specialmente tra gli uomini politici, un aspetto grottesco: la perdita del cognome. Quando appaiono in televisione o nei titoli dei giornali, Berlusconi è Silvio, D´Alema è Massimo, Fassino Piero – e poi c´è Pier Ferdinando, Gianfranco, Walter, Giulio, Umberto, Clemente. Non possiamo indignarci se gli studenti delle scuole medie, adeguandosi alle nuove abitudini, si rivolgono nello stesso modo ai loro professori. Questo tu pretende di esprimere l´epoca dell´amicizia universale. Ti do del tu, e dunque sono tuo amico, ho fiducia in te, ti faccio le mie confidenze (rapide come in treno), rido con te, ti racconto barzellette, ti amo, ti invito a cena, ti bacio sulle guance e ti do una pacca affettuosa sulla schiena. In realtà, questo tu indifferenziato rivela la fine di ogni rapporto personale. Non ha nulla in comune con lo you inglese, pieno di sottigliezze. Tra le due persone che si danno del tu non c´è alcun affetto né amicizia: non c´è alcuna affinità: nessuno dei due ha interesse per l´altro, osserva il suo comportamento, studia la sua psicologia.DOPO un´ora, i due si voltano le spalle e non si vedranno mai più, come non si fossero mai conosciuti. Il Lei, al quale ricorrono ancora i moribondi, non suppone vanità, orgoglio, superbia, senso di superiorità o disprezzo. Il Lei implica quella distanza tra esseri umani, che spesso è giusto conservare: non possiamo identificarci con tutti, essere uno con la persona incontrata al caffé o a teatro, e con la quale scambiamo discorsi insignificanti. Suppone discrezione e rispetto: l´occhio guarda con attenzione l´altro e vede svolgersi, davanti a lui, i suoi sentimenti e cerca di capirli e di interpretarli. E´ una specie di velo. Può nascondere l´affetto più profondo, la timidezza, l´incertezza, la perplessità, la devozione, la venerazione, l´ironia delicata. Qualche volta, il Lei si addolcisce, sfociando nel vero tu, quello dell´amicizia assoluta: a volte, persiste lungo due vite, come un legame flessibile che non può sciogliersi. L´uso generale del tu fa parte di un fenomeno più generale: quello della semplificazione avvenuta nella nostra epoca. Siamo convinti che, dopo l´avvento della società di massa e la cosiddetta globalizzazione, il mondo sia diventato uniforme; e allora ci sembra giusto che tutti scambino tra loro il pronome della vicinanza. Ma il mondo non è uniforme. Mentre i prodotti cinesi invadono l´Italia, gli emigrati marocchini e rumeni abitano le nostre città, le classi si suddividono in strati sociali sottilissimi, la realtà è diventata molto più contraddittoria, piena di misteriosi doppi fondi, talvolta incomprensibile. Un italiano del 1930 o del 1945 poteva descrivere con una certa precisione il proprio paese. Noi non conosciamo affatto l´Italia del 2007; e i giudizi che leggiamo nei giornali e nei libri peccano spesso per una grossolana approssimazione. Niente è quello che pare, o finge di essere. Tutto è sfumatura. Le parole non rivelano le cose. I nostri occhi sono divenuti ciechi: gli orecchi sordi. Se la realtà ci sfugge da tutte le parti, non possiamo rifugiarci nelle verità generali, che una moltitudine di esperti o di interpreti ci propone. Non c´è nulla di semplice o di stabile. La nostra intelligenza dovrà diventare sempre più attenta, sottile, inseguendo i colori diversi, le sfumature, le ombre, le apparenze, le incertezze, i misteri, i movimenti rapidissimi e contrastanti delle cose. Musil diceva: "Dobbiamo cercare di vivere come se fossimo nati per trasformarci dentro un mondo creato per trasformarsi, press´a poco come una goccia d´acqua dentro una nuvola".
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