“[…] La parola sui muri è una parola imposta dalla volontà di qualcuno, si situi egli in alto o in basso, imposta allo sguardo di tutti gli altri che non possono fare a meno di vederla o recepirla. La città è sempre trasmissione di messaggi, è sempre discorso, ma altro è se questo discorso devi interpretarlo tu, tradurlo tu in pensieri e in parole, altro se queste parole ti sono imposte senza via di scampo. Sia essa epigrafe di celebrazione dell’autorità o insulto dissacratorio, si tratta sempre di parole che ti piombano addosso in un momento che tu non hai scelto. E questa è aggressione, è arbitrio, è violenza […] dove la scritta è una nuda affermazione o negazione che richiede dal leggente soltanto un atto di consenso o di rifiuto, l’impatto della coercizione a leggere è più forte delle potenzialità messe in moto dall’operazione con cui ogni volta riusciamo a ristabilire la nostra libertà interiore di fronte all’aggressione verbale. Tutto si perde nel frastuono del bombardamento neuro-ideologico a cui sono sottoposti i nostri cervelli da mattina a sera […]
E’ la presenza della scrittura, le potenzialità del suo uso vario e continuo che la città deve trasmettere, non la prevaricazione delle sue manifestazioni effettuali: […] la città ideale è quella su cui aleggia un pulviscolo di scrittura che non si sedimenta né calcifica. Ma i poveri muri delle città italiane non sono diventati anch’essi ormai che una stratificazione di arabeschi e ideogrammi e geroglifici sovrapposti, tali da non trasmettere altro messaggio che l’insoddisfazione d’ogni parola e il rimpianto per le energie che si sprecano? Anche su di essi forse la scrittura ritrova il posto che è insostituibilmente suo, quando rinuncia a farsi strumento d’arroganza e di sopraffazione: un brusio cui occorre tendere l’orecchio con attenzione e pazienza fino a poter distinguere il suono raro e sommerso d’una parola che almeno per il momento è vera.”
Italo Calvino (Collezione di sabbia, Milano, Mondadori, 1994
Nessun commento:
Posta un commento