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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

16 luglio 2008

Eluana

Sergio Talamo
Scelta d'amore che reclama pietà e rispetto
"Il Messaggero", 16 luglio 2008
Di fronte a una vita da 16 anni appesa ad una macchina, ad una vita che si è deciso di spegnere, di fronte alla vita di una persona che non può parlare, si ha il dovere di sussurrare, perché ogni parola gridata può infrangere la pietà. Per questo è eccessivo, quasi insopportabile, il vigore polemico dei due “partiti” che si sono formati sul caso di Eluana Englaro. Da una parte c’è chi fa sventolare la bandiera della libertà, dell’autodeterminazione, della vittoria dell’uomo sul dogma. Dall’altro c’è chi chiama i giudici che hanno deciso su Eluana “i nuovi dei”, chi parla di pretesto per legalizzare l’eutanasia, di relativismo etico, di deriva morale inarrestabile.
Il fatto è che davanti ad una telecamera, o in un salotto con un Montenegro in mano, le parole scorrono che è un piacere: vita, morte, sacralità, dignità; «dobbiamo porre un argine», «l’eugenetica e i nazisti», «il diritto e la libertà»...Poi ci sono Eluana e suo padre. Eluana non è un militante di una parte né un simbolo di nulla. È una ragazza come tante che un giorno del 1992 ha avuto un incidente e da allora è ferma su di un letto senza alcuna speranza di risvegliarsi.
Suo padre, da allora, è come un innamorato che la veglia e l’accompagna senza tregua nel suo viaggio. Suo padre è l’uomo che oggi, non a caso, dopo la decisione della Corte d’Appello di Milano non grida e neppure parla. Sussurra: «Dite che ho vinto? Io ho vinto solo l’inferno». E cerca come può di sfuggire il palcoscenico: l’inferno non si espone, non si festeggia. L’inferno si sconta e basta.Come un qualunque innamorato, il padre di Eluana vuole solo la felicità della sua amata. E lei, prima dell’incidente, glielo aveva detto qual’era la sua felicità: lei che aveva 21 anni e in testa solo idee di vita, gli aveva detto «preferisco la morte piuttosto che sopravvivere come un vegetale».
Ci sono persone che non farebbero mai la scelta dei coniugi Englaro, che preferirebbero stare mille anni ad asciugare il sudore sulla fronte del loro parente, del loro amico, del loro amore, aspettando il giorno del miracolo, il giorno del risveglio. Anche queste persone, questi padri e questi figli, questi mariti e queste mogli andrebbero compresi e rispettati, senza trattarli come torturatori o sognatori che non sanno accettare la realtà. Finché non esisterà il testamento biologico che da sempre chiedono Umberto Veronesi e pochi altri ostinati e coraggiosi, bisognerà fidarsi di ciò che i sopravvissuti dicono di aver sentito da chi non può più parlare; bisognerà affidarsi alla impropria pronuncia di un giudice; e bisognerà comunque rispettare il dolore sincero, la straziante scelta di chi vede ogni giorno, per anni, lo strazio di chi ama.
Vengono in mente le parole di Piergiorgio Welby, malato di distrofia muscolare progressiva, inchiodato ad un letto senza poter più muoversi né parlare se non con il computer. Welby scrisse al presidente Napolitano il suo amore per la vita: «Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. Io non sono né un malinconico né un maniaco depresso, e morire mi fa orrore; purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita». Era vero? Era giusto? Non si può dire in astratto. Morire era la sua scelta, il suo modo di restare uomo, il suo ultimo atto d’amore per l’essere vivo.
Non è una questione di dottrina, cioè di stabilire quanto sia rigido in certi casi il diritto dello Stato o il diritto della Chiesa. È una questione più grande, che riguarda il rapporto fra la vita, la fede e la fragilità umana. In quest’epoca il Cristianesimo è una corda appesa al cielo, per un uomo sempre più solo e smarrito. E allora è bello pensare che oggi Gesù, che non è piccolo come noi e quindi ha braccia senza confini che si piegano sull’ultimo degli uomini, oggi Gesù carezzi il volto di Eluana, e anche quello di suo padre e di sua madre. E, se stanno sbagliando, li perdoni.
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1 commento:

Simona ha detto...

L'articolo più bello e più vero che ho letto sulla vicenda.

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