- Scorrendo questo blog acconsenti all'uso dei cookie presenti. -


Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

16 luglio 2008

Eluana

Adriano Sofri
La legge e l’amore
"La Repubblica," 16 luglio 2008


Nemmeno il signor Beppino Englaro, quando si è augurato che la vicenda di Eluana tornasse a essere un dolore privato, e ha auspicato il silenzio, poteva illudersi di ottenerlo. Intanto perché il chiasso è più forte di qualunque dolore e di qualunque rispetto, e il chiasso segna i nostri giorni, come quei televisori lasciati sempre accesi, anche durante le conversazioni fra amici, anche durante le cene di famiglia. C’è però anche un’angoscia vera, attorno a questa vicissitudine, voci che vogliono farsi sentire e che meritano di essere ascoltate. Ma soverchia tutto la smisuratezza di un confronto che vede da una parte l’intera gerarchia della Chiesa cattolica, che fa della paternità universale la propria prerogativa, e dall’altra un singolo padre, che parla a proprio nome, e anzi a nome della propria figlia. Non, si badi, "dell’umanità". Il signor Englaro sa che ci sono persone comuni e scienziati - la loro autorità al riguardo è in fin dei conti equivalente - che dubitano che lo "stato vegetativo persistente" sia irreversibile, che aspettano nonostante tutto un ritorno, che comunque pensano che anche quello stato vegetativo sia una vita personale degna d’esser vissuta. La sua non è una posizione scientista contro una posizione fideista, o la sfida fra una convinzione scientifica e un’altra, o il pessimismo di un non credente contro la scommessa del credente. Beppino Englaro pensa fermamente, ha avuto già sedici anni per pensarci, ogni giorno e ogni notte, che quella non sia vita per la sua Eluana, che non la riterrebbe vita per sé. Pensa che sua figlia l’avesse respinta dal proprio orizzonte, e si fosse affidata all’amore dei suoi per esserne, quando una simile disgrazia l’avesse colpita, liberata.
In questi giorni sono state raccontate, in contrappunto con la storia di Eluana, tante altre storie di figlie e figli in una condizione simile, assistiti dai loro famigliari e da persone di buona volontà con una dedizione eroica, compensata dall’amore che, "nonostante tutto”, nonostante l’assenza di ogni segno di riconoscimento e di comunicazione, ne ricevono in cambio. Ammiro senza riserve quella cura e i luoghi in cui ci si impegna a renderla più condivisa e ad alleviare l’immane stento di un’assistenza privata e solitaria: è così nella bolognese "Casa dei risvegli", sorta in memoria di Luca De Nigris, morto quindicenne dopo un coma di alcuni mesi. Mi onoro di sentirmi uno degli "Amici di Luca" che nutrono quell’esperienza. Ma, a differenza di quelle eccellenti persone, non penso che la loro scelta possa valere per chiunque, e che debba valere per il signor Englaro, né per la legge dello Stato. Così, la Chiesa ha la sua indefettibile verità. La Chiesa rifiuta di ridurre la propria verità alla storia o alla natura. Dunque l’argomento che il signor Englaro, uomo solo, le oppone intrepidamente - "Non si tratta della consumazione di una vita, ma di fare in modo che la natura riprenda il suo corso che è stato interrotto" suonerà invalido al cardinal Bagnasco, per il quale la natura è subordinata, salvo che diventi un sinonimo della legge divina. Ma sta di fatto che se oggi la medicina ha saputo prolungare un’esistenza cui "la natura" avrebbe ancora poco fa posto irrimediabilmente fine, la dignità di questa esistenza non è definibile in modo assoluto, se non, vorrei dire, attraverso l’amore. E l’amore di una madre o un padre che devolvano intera la propria vita alla cura di un figlio, anche quando non sia offerta loro alcuna speranza se non il miracolo, non è né maggiore né minore di quello di una madre e un padre che vogliano liberare un corpo disertato dalla vita, compiendo così la volontà della propria figlia. Sono semplicemente incomparabili. Guai se la legge pretendesse, "erga omnes", di obbligare a una sospensione delle cure; guai se pretendesse di imporne la prosecuzione a oltranza. Nel caso di Terri Schiavo, ci fu un penosissimo conflitto fra il marito della giovane e i genitori e il fratello. Di fronte al desiderio accorato della sua famiglia d’origine, anche a chi ritenesse ragionevolmente infondata la loro speranza e illusoria l’impressione di una sua infima capacità di reazione, la decisione di lasciarla morire sembrò crudele: per loro, se non per lei. Ma lì erano sua madre, suo padre, suo fratello. Che i signori Englaro debbano "lasciare", come si è chiesto in questi giorni incandescenti, il corpo della propria figlia alle brave suore miserendine, è davvero un chiedere troppo.
Che non si tratti, per Eluana, di "staccare la spina", ma di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiali, non è affatto una vera differenza, se non per far evocare il raccapriccio di un’agonia per fame e per sete. Ma è a questo che la medicina può e deve dare rimedio. Non è meno raccapricciante, una volta che contro un accanimento terapeutico si interrompa la ventilazione, una morte fra i gorgogli e gli spasimi dell’asfissia: si potranno deporre, sul sagrato di un Duomo, sacchetti di ossigeno. Aria. Le bottiglie d’acqua depositate simbolicamente davanti al Duomo di Milano - e non importa che siano poche o molte, anzi - sono soprattutto un segno di partecipazione e di amore per la vita. Ma nessuna distinzione fra credenti e no basta a definire la fine di Eluana come un’eutanasia, o ad assimilare la sua condizione a quella di una vita disabile. Del Dio dei credenti, Padre o Madre, Figlio o Figlia, non è detto da che parte starebbe in questa tragedia. Quanto a noi fratelli umani, la differenza mi sembra questa. Che alcuni di noi dicono: "Con tutto il rispetto per Beppino Englaro, stiamo dalla parte della Chiesa". Altri di noi dicono: "Con tutto il rispetto per la Chiesa, stiamo dalla parte di Beppino Englaro".
___

2 commenti:

Simona ha detto...

Faccio mie le parole di Sofri. Con tutto il rispetto, sto dalla parte di Eluana, senza pretendere di avere in pugno una verità da sbandierare in nome dell'umanità intera, "in cielo come in terra".

Anonimo ha detto...

Il film “12” si chiude con una epigrafe a tutto schermo: “la legge è al di sopra di tutto; la pietà è sempre al di sopra della legge”. Nei giorni scorsi un Tribunale ha deliberato che finalmente si dia compimento alla misericordia e si consegni questa storia dolorosa al silenzio di tutti.

Copyright

Questo blog non può considerarsi un prodotto editoriale, ai sensi della legge n. 62/2001. Chi desidera riprodurre i testi qui pubblicati dovrà ricordarsi di segnalare la fonte con un link, nel pieno rispetto delle norme sul copyright.