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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

18 luglio 2008

Per il bene civico


Gianfranco Ravasi
E Paolo disse: «Pagate le tasse!»
"Avvenire”, 18 luglio 2008
Paolo non è un teorico puro; an­che in una Lettera così densa­mente teologica com’è quella ai Romani egli lascia spazio nei ca­pitoli 12-16 alla morale, alla prassi pastorale e alle relazioni ecclesiali, nella convinzione che il vero 'culto logico' ( loghikè latreia), cioè com­piuto nello spirito profondo dell’uo­mo, sia 1’«offrire i nostri corpi come sacrificio vivo, santo, caro a Dio» (Rm 12,1). Detto in altri termini, il vero culto cristiano è quello di presenta­re al Signore un’offerta esistenziale, ossia la propria vita. L’amore-agape, celebrato in 1 Cor 13, è ora ripropo­sto con intensità come «pienezza della legge» (Rm 13,10). Noi, però, vorremmo scegliere nelle pagine del­la Lettera ai Romani un paragrafo a prima vista un po’ stridente con la nostra sensibilità, quello del rap­porto con il potere civile. Paolo rive­la un lealismo sorprendente nei con­fronti dell’impero romano, lealismo ribadito anche in altri passi dell’epi­stolario (1 Tm 2,1-2; Tt 3,1-2; cfr. 1 Pt 2,13-17), in dissonanza con la dura polemica dell’Apocalisse. È proba­bile che questa scelta facesse parte di una strategia 'politica', seguita anche da Luca negli Atti degli Apostoli, secondo la quale si cercava di impedire che si confon­desse la Chiesa con uno dei vari mo­vimenti eversivi antiromani d’O­riente (si pensi agli zeloti ebrei di Pa­lestina o all’editto del 49 con cui l’im­peratore Claudio espelleva da Roma molti Ebrei come indesiderati). Il passo in questione è Romani 13,1­7 ed è aperto da una dichiarazione di principio: «Ogni persona sia sot­tomessa alle autorità costituite» (Rm 13,1). Seguono due motivazioni. La prima è teologica e riflette l’antica concezione biblica secondo la qua­le «non c’è autorità se non sotto Dio e quelle che esistono sono state sta­bilite da Dio», che è il Signore della storia. Opporsi ad esse è, allora, op­porsi a un piano divino tracciato nel­la vicenda umana (Rm 13,1-2). La se­conda motivazione è di taglio più pratico: l’autorità è deputata al be­ne comune, osservarne le norme si­gnifica assicurare alla società sere­nità, violarle comporta la punizione «perché non invano essa regge la spada» (Rm 13,3-4). La conclusione è scontata: «È necessario stare sot­tomessi, non solo per timore della sua collera ma anche per ragione di coscienza» (Rm 13,5). A questo pun­to Paolo allega una nota sulla que­stione fiscale: «Per questo, allora, do­vete pagare le tasse, perché coloro che compiono questa funzione so­no ministri [ leitourgoì] di Dio» (Rm 13,6). Certo, il discorso risente del tempo, del contesto socio-culturale, delle fi­nalità immediate che l’Apostolo si propone, dell’ottimismo con cui si vede l’impero romano come tutore anche del cristianesimo, in opposi­zione al giudaismo considerato co­me ostile e vessatorio. È, quindi, ne­cessaria una corretta interpretazio­ne; essa ci permetterà di riprendere il discorso sul rapporto tra fede e po­litica già sviluppato da Gesù con il gesto simbolico della moneta di Ce­sare (Mt 22,15-22). Sicuro è che Pao­lo come già Cristo non vuole qui of­frire un trattato di morale socio-po­litica ma tracciare solo una linea di condotta alla Chiesa del I secolo in­serita nella struttura imperiale ro­mana. Tuttavia alcune considera­zioni di ordine generale possono es­sere dedotte anche da un brano 'da­tato' com’è questo. L’uso da parte di Paolo del linguag­gio giuridico profano, l’angolo di vi- suale 'dal basso' per i rapporti con lo Stato (cioè la morale del cittadino più che quella del politico, come si ha invece in un documento giudai­co contemporaneo, la cosiddetta Lettera di Aristea), la concretezza de­gli impegni richiesti vogliono coin­volgere il cristiano nella realtà della vita civica. In tal modo, come ha fat­to notare il teologo Ernst Käsemann, Paolo intende forse opporsi all’esal­tazione eccitata di quei cristiani che, per una falsa emancipazione spiri­tualistica, si ritenevano già cittadini del Regno dei cieli e quindi rifiuta­vano ogni impegno all’interno delle strutture istituzionali storiche (più o meno come si comportano oggi cer­ti gruppi o sette o movimenti apo­calittici). Il cristiano, invece, deve partecipare con realismo alla vita so­ciale e politica senza fughe in verti­cale e senza decollare verso cieli mi­tici o mistici. Un’ulteriore osservazione di tipo 'contestuale' ci condurrebbe a un altro dato interessante. In queste ri­ghe l’Apostolo, opponendosi all’o­rientamento della letteratura apo­calittica, ricusa ogni concezione so­lo demoniaca del potere. Esso, cer­to, comporta rischi gravi di degene­razione, può divenire idolatrico, co­me accadeva nel culto imperiale o nell’assolutizzazione della ragion di stato, ma può anche partecipare al progetto di Dio sulla storia quando si impegna per il bene comune. Il cri­stiano dev’essere, dunque, disponi­bile, con genuino spirito di collabo­razione nei confronti di tutto ciò che l’autorità statale anche atea/paga­na (si ricordi che, quando Paolo scri­veva, imperatore a Roma era Nero­ne) esige per il bene civico. Un ca­pitolo speciale e importante è, al ri­guardo, quello delle tasse. L’evasio­ne fiscale è chiaramente bollata da Paolo: «Rendete a ciascuno il dovu­to: a chi il tributo il tributo, a chi le tasse le tasse...» (Rm 13,7). Ma vorremmo aggiungere un’altra considerazione. Per l’Apostolo il rap­porto con lo Stato non è solo una questione giuridica estrinseca, è an­che un problema di coscienza e, co­me tale, tocca la morale cristiana. Il civismo, la correttezza fiscale, i do­veri sociali sono altrettanti capitoli dell’impegno etico del credente. An­zi, come è stato notato da Ulrich Wilckens in un suo saggio sul brano paolino, la trascrizione 'attualizza­ta' e aggiornata degli impegni pro­posti in questo paragrafo secondo la sensibilità moderna comportereb­be maggiori esigenze rispetto all’an­tico contesto: supporrebbe, infatti, partecipazione responsabile, coo­perazione sociale, attenzione criti­ca, solidarietà e uno spiccato senso democratico e civico. Siamo, perciò, davanti a un testo che non dev’es­sere, certo, assunto in modo fonda­mentalistico come avallo sacrale del potere. Esso è aperto a nuove incar­nazioni secondo le moderne istan­ze del diritto, della politica sociale, della giustizia, dell’obiezione di co­scienza e così via. Una pagina da trascrivere, dunque, partendo, però, dalla convinzione che il rapporto del credente con lo Stato è anche una questione auten­ticamente cristiana.
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