"[....] Parlavo una volta con Cesare Garboli di queste cose e dei nostri sentimenti: quelli dei giovani italiani di allora. Che cosa ci aveva segnato così profondamente? La risposta di Cesare fu fulminante: la felicità. L'immensa felicità non solo di sentirsi giovani (a tutti è capitato), ma anche di aver ritrovato quel Paese che la retorica fascista aveva reso sconosciuto. L'umile Italia, la patria di tutti. Un Paese distrutto, tradito, affamato, attrversato da eserciti stranieri, ma finalmente libero tornava nelle mani dèl suo popolo vero. E quella straordinaria felicità consisteva esattaménte in ciò: nel sentirsi liberi, nel fatto che si rientrava nell'Europa civile e che, quindi, l'orizzonte delle nostre menti e delle nostre speranze si allargava. Tutto diventava possibile, si erano riaperte - sia pure coperte di macerie - le strade dell'avvenire. E noi volevamo percorrerle. Ma a questo ho già accennato. Al fatto che partecipammo a quel raro momento della vita di un popolo in cui la politica si fa storia e anche l'atto politico più urmile tocca la sfera dei valori e dei significati. E in cui perfino in un Paese rissoso e diviso da secoli come l'Italia si cerca il senso di una impresa collettiva, di una sorte comune.
Sono passati più di sessant'anni da allora. E finito il Novecento, il mondo sta subendo la più grande mutazione e il più grande allargamento dei suoi orizzonti, paragorabile soltanto agli effetti che ebbero per la civiltà europea le scoperte geografiche. Che cosa resta di quella riconquista della patria? Si potrebbe rispondere che resta la cosa semplice e che, dopotutto, è la più solida: la trasformazione ne di un Paese di contadini e di analfabeti in una grande potenza industriale. Si è trattato davvero di un miracolo. In pochi anni l'Italia povera - quella che ci guarda ancora dagli schermi del cinema neorealista - è scomparsa. Al suo posto sono cresciuti, insieme a un vasto ceto medio, ricchezze enormi e povertà estreme. Abbiamo raggiunto le regioni più opulente del mondo.
Eppure c'è qualcosa che non torna in questa storia. Gli italiani non sembrano consapevoli del perché e ad opera di quali fattori tutto ciò sia avvenuto. Il campo che si potrebbe chiamare della "identità" o del senso comune è sempre più occupato da una nuova destra. Di essa fa parte un partito il quale non nasconde che il suo scopo è porre fine allo Stato unitario e il suo capo, il Bossi, prima di diventare ministro si vantava di pulirsi il c ... col tricolore. Quanto a Berlusconi, io non so dare torto a chi osserva che costui rappresenta la rottura, per la prima volta così netta (a differènza anche del fascismo), col patrimonio dei valori risorgimentali, quelli con cui molte generazioni avevano pensato l'Italia unita. [...]"
Alfredo Reichlin
*Alfredo Reichlin, Il midollo del leone. Riflessioni sulla crisi della politica, Roma-Bari, Laterza. 2010, pp. 54-55.
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