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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

04 luglio 2010

"Una luminosa vita"

Vittorio Foa
Lettere della giovinezza. Una scelta dalle lettere dal carcere 1935-1943, Torino, Einaudi, 2010 (1998)


"[...] Leggo queste lettere scritte tanti anni fa con un grande, imperdonabile sentimento d'invidia. L'invidia si è riconosciuta subito, non serve combatterla. E si può provare invidia nei confronti di un recluso? Nei confronti di un perseguitato politico che ha scritto le sue lettere segregato dal mondo, chiuso in una cella per otto anni, nel fiore della gioventù? Forse invidio a Foa la serenità, la forza d'animo, l'humour con cui seppe andare incontro alla prova. Ma no, l'invidia non nasce da questo. La capacità di sopportare la solitudine è un tratto che riconosco anche alla mia natura. Un certo istinto monastico, la forza dell'idealismo sono due potenze dell'anima che mi hanno spesso accompagnato. Ricordo con quanto slancio mi attribuivo da ragazzo la capacità di emulare quanti avevano rinunciato alla libertà per non tradire le loro idee. Mi ritrovavo intero in quelle pagine dove Stendhal racconta la felicità di Fabrizio prigioniero. E' uno stato d'animo che capisco. Del resto, oggi siamo abituati a stare in galera anche fuori dalle mura fisiche di una prigione.
L'invidia nasce da tutt'altra radice. Prende forma intorno ai tre capisaldi intorno a cui si articola, con grande organicità, il pensiero di Foa: la famiglia, lo Stato, la politica. Queste tre realtà, che formano il tessuto di queste lettere, sono anche i cardini dell'esperienza intellettuale di Foa, i muri portanti di un edificio che non ha mai ceduto agli assalti della lunga e tenebrosa bufera di questo secolo. Le basi di questo edificio sono così forti, così ben piantate che non avrebbero ceduto nemmeno davanti a una sentenza d'ergastolo. Per un caso curioso, queste realtà sono le stesse che hanno invaso una cospicua parte - si parva licet - della mia modesta esperienza di cittadino della Repubblica nata nel 1946. Si direbbe che i grandi protagonisti di queste lettere, la famiglia, lo Stato, la politica, abbiano descritto nel piccolo buio della mia vita privata una traiettoria esattamente contraria a quella che si disegna nella luminosa vita di Foa. Nell'esperienza di Foa, queste realtà sono espressioni positive e trionfanti. Nella mediocrità e nel disordine della mia esperienza, sono state altrettante frustrazioni e delusioni. Tre realtà negative. Tre assi traballanti, tre legni in abbandono, trascinati da mezzo secolo alla deriva. Mi sbarazzo subito della famiglia. Regna nelle lettere di Foa una gioia di comunicare coi propri famigliari, simili a un dono che viene dal cielo, e fa tutt'uno con la capacità di amarsi. E' un privilegio che non mi è stato concesso.
[.....]
Quale uomo politico è stato più "virtuoso" di Foa? L'esercizio della politica ha coinciso in lui, come in tanti altri, con l'antifascismo. La gioia di avere "avuto ragione" è la gioia che gli invidio di più. Quella gioia è stata un punto d'arrivo, non di partenza, una realtà, non un fantasma dell'immaginazione. Essa offre ancora all'ottimismo una garanzia senza limiti di tempo. Offre a un antifascista l'opportunità di pensare se stesso come un politico, di chiudere il secolo in perfetta soddisfazione e letizia, d'illudersi che l'esercizio della politica sia ancora quella prova di coraggio e d'intelligenza che qualche giovane dava mezzo secolo fa, e non lo spettacolo così deprimente per il quale tutti abbiamo pagato, e che tutti abbiamo ormai sotto gli occhi."
Cesare Garboli

*Cesare Garboli, Trasformò il carcere in un privilegio, "La Repubblica", 9 dicembre 1998.


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