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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

20 ottobre 2010

La politica dell'insulto

[....] Il rispetto, insegna Kant, è la premessa di ogni altra virtù, che non può esistere senza di esso, perché il senso della dignità propria e altrui è la base di ogni civiltà, di ogni corretto rapporto fra gli uomini e di ogni buona qualità di vita, propria e altrui. Il rispetto, nei confronti di chiunque, non può venire a mancare mai, nemmeno in circostanze drammatiche. Ci possono essere situazioni — in guerra, o per legittima difesa — in cui può essere tragicamente necessario colpire un uomo; non c’è alcuna situazione in cui sia lecita la mancanza di rispetto, nemmeno nei confronti di un colpevole cui giustamente venga comminata una grave pena.
Chi insulta l’avversario si delegittima; è come fosse politicamente interdetto e si includesse in quelle categorie di soggetti che secondo il vecchio codice cavalleresco non avevano i requisiti per poter essere sfidati a duello. Quegli improperi, pertanto, vanno considerati nulli, fuori gioco. È inutile e forse pure ingiusto prendersela con l’uno o con l’altra turpiloquente, perché ognuno fa quello che può, a seconda dei doni che ha o non ha avuto dal Dna, della famiglia in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di crescere, delle possibilità che ha o non ha avuto di sviluppare liberamente e con signorilità la propria persona o della malasorte che lo ha dotato di un animo gretto e servile. Chi nello scontro politico dice un’oscenità probabilmente non sa dire altro.
Non è uno scandalo che esistano queste volgarità; il grave è che esse non destino scandalo, che i loro autori non paghino dazio per il loro smercio di porcherie. È avvenuto qualcosa, nella nostra società, che ha mutato radicalmente quelle che ritenevamo regole pacificamente e definitivamente acquisite al vivere civile. Certe indecenze dovrebbero venire automaticamente sanzionate; se vengo invitato a casa di qualcuno e mi metto a sputare per terra, parrebbe logico che, quanto meno, non mi si inviti più e si cerchi di tenermi alla larga.
Anche l’ipocrisia, pur spregevole, è pur sempre, com’è stato detto, l’omaggio del vizio alla virtù e indica che una società possiede almeno il senso dei valori o, più semplicemente, di quelle forme che non sono vuota o rigida etichetta, ma espressione di reciproco rispetto. Se cadono queste regole, è come quando una violenta pioggia fa saltare i tombini e la melma delle fognature invade la strada.
Sembra invece che nessun comportamento, nessun insulto rivolto all’avversario politico, nessun gesto o termine disgustoso scandalizzi l’opinione pubblica. È avvenuta una radicale trasformazione che, distruggendo le vecchie classi — la classica borghesia, il classico proletariato — in un processo che per altri aspetti è stato liberatorio, ha distrutto sensibilità, valori, regole che ritenevamo componenti essenziali del patrimonio genetico della nostra società e del nostro Paese. [...]
Claudio Magris

*C.Magris, La politica dell'insulto, "Correre della sera",

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