"[...]Il
linguaggio politico italiano è sempre o spesso servito a nascondere ciò che è
semplice e concreto dietro i giri di parole delle astrazioni generali. Italo
Calvino, nelle note sul linguaggio politico, scriveva che il diavolo è
l’approssimativo. Per lui, nelle genericità, nell’imprecisione di pensiero e di
linguaggio, specie se accompagnati da sicumera e petulanza, si poteva
riconoscere il diavolo come nemico della chiarezza, sia interiore, sia nei
rapporti con gli altri. Il diavolo non era il complicato, ma l’approssimativo.
La semplificazione a tutti i costi è infatti faciloneria. Riuscire a definire i
propri dubbi, di fronte a problemi complicati, è molto più concreto che
qualsiasi affermazione perentoria basata sul vuoto. Ma sono trascorsi decenni da
quando Calvino ha scritto le note sul linguaggio, e nel frattempo ai demoni
tradizionali che affollano il tempio della politica si sono aggiunti i mercanti,
i guitti, e i giudici spogliatisi troppo in fretta della toga per scendere
nell’arena elettorale. Da qui l’aggravarsi della malattia che colpisce la
parola, facile strumento di interessi o di ambizioni individuali e di branco.
Per chi crede nella politica, motore essenziale della democrazia, è un guaio
molto serio".
Bernardo Valli
*B. Valli, Se le elezioni diventano
un’asta, "La Repubblica", 8.2.2013
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