"Tutti gli scrittori russi hanno scritto degli uomini non-liberi per antonomasia, di detenuti e forzati. Hanno iniziato Tolstoj con Resurrezione, Dostoevskij con Memorie di una casa morta, Chechov con L’isola di Sachalin, Solzhenitsyn con Arcipelago Gulag e Nabokov con quel romanzo splendido che è Invito a una decapitazione. La prigione è l’apice della non-libertà, della prigione ci si libera spesso solo morendo. E di chi è stato privato della più elementare fra le libertà, la letteratura russa ci ha mostrato le sofferenze indicibili e profonde, sviscerando ogni sfumatura del processo di annientamento e disgregazione dell’individuo in condizioni di non-libertà estrema, di reclusione forzata. Il tema “prigione” non è un’esclusiva della letteratura russa. Questa, però, non ha cercato una narrazione romantica o convenzionale sulla perdita della libertà, ma ha fatto del tema della libertà perduta il fulcro dell’esistenza umana."
Ludmila Ulitskaja
*Repubblica, 19.3.2018Ludmila Ulitskaja
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"Mi sento una studiosa delle frontiere e dei confini, non solo geografici – nella vita di una persona ci sono tante frontiere".
Ljudmila Ulitskaya
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