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Il titolo di questo blog è ancorato ad un editoriale di Amos Luzzatto pubblicato sulle pagine del quotidiano "La Repubblica" nel giorno di Pasqua del 2001 sotto il titolo "Il valore della Libertà il rispetto della Legge".

31 ottobre 2010

Genova, mare e vento


«Ci sono giorni in cui la bellezza gelosa di questa città sembra svelarsi: nelle giornate terse, per esempio, di vento, quando una brezza che precede il libeccio spazza le strade schioccando come una vela tesa. Allora le case e i campanili acquistano un nitore troppo reale, dai contorni troppo netti, come una fotografia contrastata, la luce e l'ombra si scontrano con prepotenza, senza coniugarsi, disegnando scacchiere nere e bianche di chiazze d'ombra e di barbagli, di vicoli e di piazzette».
Antonio Tabucchi



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20 ottobre 2010

La politica dell'insulto

[....] Il rispetto, insegna Kant, è la premessa di ogni altra virtù, che non può esistere senza di esso, perché il senso della dignità propria e altrui è la base di ogni civiltà, di ogni corretto rapporto fra gli uomini e di ogni buona qualità di vita, propria e altrui. Il rispetto, nei confronti di chiunque, non può venire a mancare mai, nemmeno in circostanze drammatiche. Ci possono essere situazioni — in guerra, o per legittima difesa — in cui può essere tragicamente necessario colpire un uomo; non c’è alcuna situazione in cui sia lecita la mancanza di rispetto, nemmeno nei confronti di un colpevole cui giustamente venga comminata una grave pena.
Chi insulta l’avversario si delegittima; è come fosse politicamente interdetto e si includesse in quelle categorie di soggetti che secondo il vecchio codice cavalleresco non avevano i requisiti per poter essere sfidati a duello. Quegli improperi, pertanto, vanno considerati nulli, fuori gioco. È inutile e forse pure ingiusto prendersela con l’uno o con l’altra turpiloquente, perché ognuno fa quello che può, a seconda dei doni che ha o non ha avuto dal Dna, della famiglia in cui ha avuto la fortuna o la sfortuna di crescere, delle possibilità che ha o non ha avuto di sviluppare liberamente e con signorilità la propria persona o della malasorte che lo ha dotato di un animo gretto e servile. Chi nello scontro politico dice un’oscenità probabilmente non sa dire altro.
Non è uno scandalo che esistano queste volgarità; il grave è che esse non destino scandalo, che i loro autori non paghino dazio per il loro smercio di porcherie. È avvenuto qualcosa, nella nostra società, che ha mutato radicalmente quelle che ritenevamo regole pacificamente e definitivamente acquisite al vivere civile. Certe indecenze dovrebbero venire automaticamente sanzionate; se vengo invitato a casa di qualcuno e mi metto a sputare per terra, parrebbe logico che, quanto meno, non mi si inviti più e si cerchi di tenermi alla larga.
Anche l’ipocrisia, pur spregevole, è pur sempre, com’è stato detto, l’omaggio del vizio alla virtù e indica che una società possiede almeno il senso dei valori o, più semplicemente, di quelle forme che non sono vuota o rigida etichetta, ma espressione di reciproco rispetto. Se cadono queste regole, è come quando una violenta pioggia fa saltare i tombini e la melma delle fognature invade la strada.
Sembra invece che nessun comportamento, nessun insulto rivolto all’avversario politico, nessun gesto o termine disgustoso scandalizzi l’opinione pubblica. È avvenuta una radicale trasformazione che, distruggendo le vecchie classi — la classica borghesia, il classico proletariato — in un processo che per altri aspetti è stato liberatorio, ha distrutto sensibilità, valori, regole che ritenevamo componenti essenziali del patrimonio genetico della nostra società e del nostro Paese. [...]
Claudio Magris

*C.Magris, La politica dell'insulto, "Correre della sera",

13 ottobre 2010

La Lingua si radica nella Storia

"Indugiare a riflettere sulla lingua aiuta a rispondere a domande del tipo «Come siamo?», «Perché siamo così?», «Che cosa del passato è sopravvissuto nell'oggi?». Occuparsi delle origini di una lingua, della lingua italiana nel caso nostro, rilevare le correnti dotte e popolari che la solcano, vedere il rapporto della lingua coi dialetti, guardare a quest'Italia plurilingue, a un'Italia delle Regioni, guardare alle minoranze linguistiche, riflettere su sostrati e adstrati, fermarsi eventualmente sulla toponomastica e l'onomastica, sono altrettanti modi che ci permettono di vedere come in una lingua storia e cultura si intreccino in maniera evidente e inestricabile. Partendo dalle attestazioni presenti, è sempre possibile discendere verticalmente gli strati della lingua, calarci nel fondo delle radici. È appassionante compiere cammini a ritroso, tesi a una concreta ricostruzione storico-culturale, e che il ragazzo può anche verificare sul terreno. Riusciamo a trasformare le parole in una presenza quasi visibile del passato. [...]
Ogni cultura, attraverso le parole, continua ad appartenerci, vive ogni giorno nel nostro presente, celata tra le pieghe delle parole. Dietro di esse si svelano le tracce della piccola e della grande Storia. Basterebbe riuscire a far cogliere le stratificazioni di rilevante interesse storico, i più evidenti sedimenti del tempo, le innovazioni e i sommovimenti depositati sui precedenti giacimenti, dei quali il nuovo costituisce un prolungamento, una variazione. E anche si può far vedere come coesistano nella sincronia del presente elementi arcaici che vivono fianco a fianco agli strati più moderni, come i sedimenti colti si affianchino ai sedimenti popolari. [....]"
Gian Luigi Beccaria
 
*G.L. Beccaria, Se scavi nella lingua trovi la Storia, "La Stampa", 11 ottobre 2010. [leggi tutto]
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11 ottobre 2010

Voglio parlare della pace

[...] Per me essere uomo in uno scontro tanto prolungato significa soprattutto osservare, tenere gli occhi aperti, sempre, per quanto io riesca (e non sempre ci riesco, non sempre ho la forza di farlo). Però so di dovere almeno insistere, per sapere ciò che succede, cosa viene fatto a nome mio, a quali cose collaboro malgrado io le disapprovi nella maniera più assoluta. So di dovere osservare gli eventi per reagire, per dire a me stesso e agli altri ciò che provo. Chiamare quegli eventi con parole e nomi miei, senza farmi tentare da definizioni e da termini che il governo, l´esercito, le mie paure, o persino il nemico, cercano di dettarmi.
E vorrei ricordare – e spesso è questa la cosa più difficile – che anche chi mi sta di fronte, il nemico che mi odia e vede in me una minaccia alla sua esistenza, è un essere umano con una famiglia, dei figli, un proprio concetto di giustizia, speranze, disperazioni, paure e limitatezze. [...]
David Grossman

*D. Grossman, Voglio parlare della pace , "Repubblica” 11 ottobre 2010
Testo integrale del discorso che ha tenuto ieri in occasione del conferimento de "Il premio della pace" dell´Associazione degli editori e dei librai tedeschi alla Fiera del libro di Francoforte. [leggi tutto].

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07 ottobre 2010

"Non si danza mettendo i piedi su quelli degli altri"

"Il cristiano non evade la Storia. Deve mantenersi libero di rispondere in ultima istanza al Vangelo. Assumere posizioni coraggiose e proferire parole profetiche, anche se scomode per l'ordine regnate e ripugnante.Le mafie si sono infiltrate in tutto il nostro territorio, nei poteri economici, nelle istituzioni, nel governo. Il cristiano può vivere la propria vita solamente calandosi nella storia e nella sua opacità con una capacità di franchezza, di denuncia di tutte le illegalità, anche nella chiesa stessa, delll'ingiustizia, con consapevolezza e competenza, e acutezza di analisi, con discernimento e senza imposizioni, senza crociate. Non si danza mettendo i piedi su quelli degli altri".
Don Andrea Gallo

*"La Repubblica.Il Lavoro", 7 ottobre 2010.

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